Stephen Hawckins

Noi esseri umani siamo dei tipi curiosi. Siamo sempre a caccia di risposte. Le inseguiamo sui terreni più ardui, chiedendoci se la vita ha un significato. Penserete che si tratti di una questione filosofica, ma, secondo me, la Filosofia è morta. La risposta è nella Scienza. Stephen Hawckins, Disegno dell’Universo, parte II.


... e miglior ventura per noi sarebbe se i problemi di Firenze e della Toscana fossero visti e risolti con l’ occhio e le decisioni dei Fiorentini e dei Toscani”. Anonimo toscano

Chi nella vita crede di procedere senza le sacre leggi della logica e della matematica, si pasce di confusione. Leonardo da Vinci

mercoledì 3 dicembre 2014

Tasse, lavoro, sanità, pensioni: tra Svizzera e Italia c’è l’abisso


di GUGLIELMO PIOMBINI

Se è vero, come sostiene la vulgata prevalente, che la crisi attuale è stata provocata dalla finanza senza regole
e dagli eccessi del capitalismo, allora i paesi europei economicamente più liberi dovrebbero trovarsi nelle condizioni peggiori. Possiamo verificare questa tesi confrontando la situazione economica di due paesi confinanti abitati da popolazioni parzialmente simili, l’Italia e la Svizzera. Quest’ultima, grazie alla sua forma confederale, ha sempre avuto un settore pubblico più leggero di quello dell’Italia, ma negli ultimi anni le differenze tra i due paesi si sono enormemente allargate.

Nella classifica mondiale della libertà economica 2014, curata annualmente dall’Heritage Foundation e dal Wall Street Journal
, il sistema economico svizzero risulta il quarto più libero del mondo (dopo Hong Kong, Singapore e l’Australia), mentre quello italiano si trova all’86esimo posto. Ancora meglio fa la Svizzera nell’indice mondiale della competitività, piazzandosi al primo posto su 148 economie mondiali, mentre l’Italia si trova al 49esimo posto.

La Svizzera è particolarmente competitiva proprio in quel settore finanziario demonizzato
dagli avversari del libero mercato. Non esiste infatti un paese in cui il settore finanziario rappresenti una quota così importante del PIL come la Svizzera(il 13 % contro il 4 % della Francia o della Germania). Nonostante questa maggiore esposizione ai rischi, la piazza finanziaria elvetica si è dimostrata solida, e durante la crisi ha beneficiato di aiuti statali in misura nettamente minore rispetto a quanto avvenuto in altri Paesi (fonte).

La recessione che ha colpito l’Europa sembra infatti aver risparmiato la Svizzera, che pur trovandosi incastonata nel cuore del vecchio continente,
ha continuato a creare business ad un ritmo costante. Secondo uno studio della rete globale di revisione RSM, tra il 2007 e il 2011 il numero di aziende in Svizzera è aumentato da 499.000 a 648.000, uno dei tassi più alti nell’area Ocse: +149.000 unità, pari ad un tasso di crescita medio annuo del 6,8%. Nel 2013 il pil della Svizzera è aumentato del 2%, mentre l’Italia ha chiuso il 2013 con un calo del pil dell’1,9 % e un calo della produzione industriale del 3,8%.

Per quanto riguarda gli altri indicatori, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale in Svizzera nel 2013
il reddito procapite a parità di potere d’acquisto è stato di 46.475 dollari contro i  30.094 dollari dell’Italia; l’inflazione su base annua è stata dello 0,2 % contro l’l,3 % dell’Italia; l’incidenza della spesa pubblica sul pil è circa il 33 % contro il 50 % dell’Italia; il debito pubblico è in Svizzera il 36,4 % del Pil contro il 132,6 % dell’Italia; il tasso di disoccupazione in Svizzera nel 2013 è stato del 3,3 %, mentre in Italia nel gennaio 2014 ha fatto un nuovo balzo al 12,9 %; particolarmente eclatante è il dato sulla disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, che in Svizzera è solo del 3,6 % contro il 40 % dell’Italia! (Il Mondo, 9/9/2013).
Come ha fatto la Svizzera a realizzare queste straordinarie performance economiche? La verità è che la Confederazione Elvetica rappresenta un vero e proprio paradiso liberale, se paragonata all’Italia.


La tassazione
Benvenuti nel Paese con le tasse più basse d’Europa, titolava un recente articolo uscito su Il Sole-24 Ore. La leggerezza del fisco elvetico è favorita dalla concorrenza fiscale che si fanno i 26 cantoni per attrarre imprese e investimenti. Il fisco svizzero agisce infatti su tre livelli: federale, cantonale e comunale. L’imposta federale incide sul 7,83 % degli utili, quella cantonale varia dal 4,4 al 19 %, quella comunale dal 4 al 16 %. In media quindi sulle aziende l’erario esercita una pressione che varia tra il 16 e il 25 %, sulle persone fisiche dal 5 al 20 %.

L’IVA è la più bassa d’Europa, all’8 % (contro il 22 % dell’Italia!), ma sui beni di consumo è al 2,5 %, mentre l’istruzione e le cure mediche sono esenti. Non ci sono imposte sulle successioni per i discendenti diretti. Alcuni Cantoni garantiscono delle esenzioni fiscali per certi periodi o per certe attività, ed è possibile stringere accordi con l’erario sulle tasse da pagare per gli anni successivi.

Una notevole differenza con l’Italia riguarda il famigerato cuneo fiscale. Il datore di lavoro italiano farà un salto sulla sedia quando scoprirà quanto pagano in tasse i colleghi della Svizzera sugli stipendi dei dipendenti. «Per 1000 euro di salario il datore di lavoro in Italia deve spenderne altri 1300, qui appena 200», spiega Gianluca Marano, quarantenne di Milano che nel 2008 ha aperto a Chiasso una società di consulenza per gli imprenditori e i privati che vogliono aprire un’attività oltre il confine. Nel complesso il carico fiscale complessivo delle aziende (total tax rate) in Svizzera raggiunge al massimo il 28,7% del reddito d’impresa, contro l’incredibile 67,7 % dell’Italia, secondo i dati della Banca Mondiale.

Non c’è quindi da meravigliarsi se negli ultimi anni centinaia di imprese italiane si sono trasferite nel Canton Ticino. All’ingresso di Chiasso c’è un cartello che dice “Benvenuta impresa nella città di Chiasso”. Uno dei tanti imprenditori italiani in trasferta ha commentato: «Quando arriva un imprenditore in Svizzera lo accolgono le autorità. In Italia gli mandano la guardia di finanza». Nel complesso sono 558.000 gli italiani che risiedono in Svizzera, su una popolazione di 8 milioni di abitanti, ai quali si devono aggiungere i quasi 60.000 frontalieri che passano quotidianamente il confine per lavoro, aumentati del 75 % dal 2002 a oggi.

Di recente l’Ufficio Federale di Statistica ha svolto un’approfondita indagine sugli stipendi svizzeri. I risultati confermano che in Svizzera si guadagna mediamente il doppio o il triplo rispetto ai paesi confinanti: nel biennio 2007-2008 il salario medio era infatti equivalente a circa 3000 euro mensili al netto delle imposte. È vero che il costo della vita è mediamente più alto che negli altri paesi europei, tuttavia, rileva l’indagine, «in nessun caso è doppio o triplo. Per fare un raffronto affidabile con gli altri paesi basti pensare che i costi tra assicurazioni e imposte varie rappresentano in media circa il 30%-35% del budget totale di una persona, il resto serve per vivere».

Le pensioni
Probabilmente non esiste al mondo un sistema pensionistico più ingiusto, rovinoso e finanziariamente insostenibile di quello italiano. L’Inps si fonda su un meccanismo diabolico che taglieggia i lavoratori privati per concedere spropositati privilegi pensionistici alle categorie statali privilegiate. La moria delle aziende è spesso dovuta all’impossibilità di far fronte a un carico previdenziale completamente slegato dagli utili prodotti, e la maggior parte delle cartelle esattoriali sono costituite da contributi previdenziali non pagati. In Italia l’esosa contribuzione previdenziale obbligatoria a carico degli artigiani e dei commercianti, per non parlare di quella degli iscritti alla gestione separata (prevista al 33% per il 2014), è la principale causa di dissuasione dall’iniziare una nuova attività economica.

Il problema è che i lavoratori privati perdono la proprietà dei risparmi che versano all’Inps, mentre la classe politico-burocratica riesce facilmente a dirottarli verso le proprie tasche per mezzo di leggi, leggine e sentenze amministrative. In sostanza, coloro che pagano i contributi e sostengono l’intero sistema, i lavoratori autonomi e dipendenti del settore privato, ricevono una pensione che rappresenta una frazione minuscola di quanto hanno effettivamente versato; d’altro canto, alcune categorie statali che non hanno mai versato contributi o che li versano solo in maniera figurativa, come i politici, i magistrati, i militari e i dipendenti pubblici in genere, si sono garantiti elevati trattamenti previdenziali, vitalizi, pensioni d’oro, doppie, triple e baby.

Questi sperperi e queste palesi ingiustizie non possono esistere nel sistema pensionistico svizzero, che si fonda su tre pilastri. Il primo è quello della pensione pubblica, che richiede contributi obbligatori piuttosto limitati (il 4,2 % del reddito per il datore di lavoro e per il dipendente) e garantisce solo il minimo fabbisogno vitale al momento della pensione. La pensione pubblica è infatti quasi uguale per tutti: la minima è di 1105 franchi al mese (poco più di 900 euro al cambio attuale), la massima è il doppio (2210 franchi, cioè 1813 euro). Sul piano dell’equità non ci sono quindi paragoni con la distanza siderale che in Italia separa il trattamento pensionistico di un pensionato sociale (500 euro al mese) da quello di un membro della casta politico-burocratica (fino a 90.000 euro al mese, talvolta a partire dalla mezza età).

Il secondo pilastro pensionistico svizzero è quello della previdenza professionale, che a differenza della pensione pubblica non è a ripartizione ma a capitalizzazione (si riceve cioè l’investimento accumulato). I contributi per la previdenza professionale sono in pratica obbligatori solo per i lavoratori dipendenti che percepiscono un salario superiore a 20.000 franchi e inferiore a 82.000. Per tutte le altre categorie, come quelle dei lavoratori autonomi, questo tipo di assicurazione pensionistica è solo facoltativo. Infine, il terzo pilastro pensionistico svizzero è quello della pensione integrativa privata, che serve a colmare eventuali lacune; è facoltativa ma viene favorita con delle agevolazioni fiscali.

Nel 2014 il sistema pensionistico svizzero è stato giudicato dal Global Retirement Index, un indice che valuta 150 sistemi pensionistici internazionali, il migliore del mondo quanto a capacità di garantire la sicurezza finanziaria agli ex lavoratori. Fare ulteriori confronti con il sistema pensionistico pubblico italiano, ricolmo di disparità e privilegi, e destinato alla bancarotta a causa dei suoi colossali deficit, sarebbe blasfemo.

La sanità
Se il sistema sanitario italiano è ben conosciuto per i suoi enormi sperperi, la corruzione, gli ospedali fatiscenti e le liste d’attesa interminabili, niente di tutto questo si verifica nel sistema sanitario svizzero, che è interamente privato e gestito dalle assicurazioni. Il paziente paga mensilmente un’assicurazione obbligatoria di circa 300 euro al mese, cifra nient’affatto elevata se si tiene conto che in Svizzera gli stipendi sono mediamente molto più alti che in Italia e le tasse molto più basse. Nessuno resta fuori perché una società di “compensazione sociale” provvede a coprire le spese di chi non può sostenerle. Il sistema svizzero è attentissimo ad evitare gli sprechi, e per questa ragione è molto raro, ad esempio, che un medico prescriva antibiotici.

L’assicurazione sanitaria privata comunque garantisce tutto, compreso il ricovero in ospedale in stanza singola o con al massimo tre persone. Anche se si stenta a crederlo, quando un paziente entra in ospedale per operarsi viene accolto da un infermiere che, catalogo alla mano, gli chiede di scegliere quale stampa preferisce avere sul muro (Picasso, Van Gogh, ecc.). Poi viene organizzato una specie di seminario personale dove i medici spiegano al paziente tutti i dettagli dell’intervento. Il paziente può scegliere di essere operato dal primario oppure dall’assistente. Nel primo caso paga un surplus, ma se quel giorno non c’è e opera un assistente (comunque sempre un medico d’eccellenza) il supplemento viene immediatamente restituito con tante scuse. Infine, l’assicurazione sanitaria spesso riduce il premio da pagare a coloro che svolgono attività salutari, come frequentare la palestra, la piscina o la sauna. Chi è più in forma, quindi, paga meno per la sanità! (Sanità? Vietato Sprecare, Il Fatto Quotidiano Zurigo, 12 aprile 2012)

Il mercato del lavoro
In Svizzera il mercato del lavoro, anche sotto il profilo dei licenziamenti, è molto liberale. Solo in caso di malattia, incidente o gravidanza i lavoratori godono di una protezione contro il licenziamento temporalmente limitata. Di regola i lavoratori e i datori di lavoro sono liberi di licenziarsi o licenziare nei termini concordati nel contratto di lavoro, o in mancanza semplicemente rispettando i termini di disdetta previsti dal codice delle obbligazioni. Questa grande flessibilità in entrata, ricorda Paolo Malberti sul Corriere della Sera, fa sì che «ogni giorno come apri il giornale sei subissato di annunci. Se non ti trovi più bene dove stai, fai qualche colloquio e cambi ditta. E con l’occasione puoi anche toglierti la soddisfazione di mandare il capetto che te li ha rotti a quel paese».

In ogni caso per chi rimane senza lavoro non ci sono sussidi pubblici o casse integrazioni come in Italia, che favoriscono senza ragione i dipendenti delle grandi aziende rispetto a tutti gli altri. C’è invece un’assicurazione privata che copre il rischio di rimanere disoccupati, usufruibile da chi ha lavorato come dipendente in Svizzera per più di 12 mesi negli ultimi due anni. Questa assicurazione contro la disoccupazione viene pagata con dei contributi pari al 2 % dello stipendio, per metà a carico del datore di lavoro e per metà a carico del lavoratore.

Il bello del mercato del lavoro svizzero è che le regole del settore privato non sono molto diverse da quelle che valgono per il settore pubblico, comprese quelle sui licenziamenti: ecco forse spiegata la ragione principale della sorprendente efficienza della burocrazia svizzera. Tanto per fare un paio di esempi, ci vogliono solo due settimane per la registrazione al Registro del Commercio e un solo giorno per immatricolare un veicolo. In Svizzera, infatti, non esiste come in Italia il posto fisso a vita per il dipendente pubblico che, in spregio a ogni sbandierato principio costituzionale di uguaglianza, crea una società divisa in due caste: i cittadini di serie A (gli statali ipertutelati qualunque cosa accada) e i cittadini di serie B (i lavoratori privati assoggettati alle incertezze dell’economia).

Negli ultimi decenni si è imposta infatti nella maggioranza dei cantoni e dei comuni svizzeri la tendenza ad equiparare le condizioni di impiego degli impiegati pubblici a quelle vigenti nell’economia privata. La Confederazione ha seguito questa evoluzione con la nuova legge sul personale federale entrata del 2002, che ha abolito lo statuto di funzionario autorizzando così i licenziamenti. Dal 1° luglio 2013 è entrata in vigore un’ulteriore revisione legislativa che ha reso ancor più flessibile il rapporto di pubblico impiego.

In Svizzera comunque i dipendenti statali sono molto meno numerosi che in Italia: solo 1 su 47 abitanti, mentre in Italia sono 1 su 18 (1 su 23 in Lombardia). In particolare i dipendenti federali in Svizzera sono circa 35.000, cioè uno ogni 200 abitanti: un rapporto che esprime senza bisogno di troppe spiegazioni la leggerezza del governo centrale nella confederazione elvetica. In sostanza la probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico svizzero è del 60 % inferiore rispetto alla probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico italiano.

Quando le strade hanno cominciato a divergere?
Perché l’Italia è uno Stato fallito sull’orlo del crack, mentre la Svizzera è un successo planetario?
Se guardiamo alla storia, ci accorgiamo che le strade prese dai due paesi hanno cominciato a divergere proprio negli anni dell’unità d’Italia. In Svizzera le ultime turbolenze si ebbero nel 1848, nella “guerra civile” del Sonderbund tra cantoni cattolici e cantoni protestanti. Si trattò in realtà di uno scontro incruento, nel quale morirono meno di cento persone e che durò solo 26 giorni. Alla fine venne adottata una nuova costituzione, dopodiché la Svizzera imboccò definitivamente la via della saggezza, della neutralità, del federalismo e della riduzione ai minimi termini del  governo centrale. Anche gli italiani avrebbero potuto seguire la sorte felice degli svizzeri, se ai tempi del Risorgimento fossero prevalse le idee di Carlo Cattaneo e di coloro che proponevano un assetto confederale per l’Italia. Gli avvenimenti presero purtroppo una piega opposta.

Un’interminabile serie di sciagure si sono infatti abbattute sugli italiani da quando la penisola è stata forzosamente unificata per via militare dai Savoia. Fin da subito le popolazioni del sud dell’Italia non accettarono la conquista dei piemontesi, che avevano inasprito fortemente la tassazione e introdotto la coscrizione obbligatoria, e si rivoltarono in massa. Questa guerra civile durò una decina d’anni e, malgrado venga minimizzata ancora oggi nei libri di testo come “lotta al brigantaggio”, fu in verità il conflitto più cruento che si ebbe in Europa nel periodo compreso tra le guerre napoleoniche e la prima guerra mondiale. L’esercito piemontese represse la rivolta con lo stato d’assedio, i campi di concentramento e la tattica della terra bruciata. Quante furono di preciso le vittime tra la popolazione meridionale non si saprà mai, ma le stime degli storici vanno dalle centomila (secondo Giordano Bruno Guerri) al milione (secondo La Civiltà cattolica).

Il 1874 può essere considerato l’anno simbolo della distanza ormai abissale che separava la Svizzera dall’Italia unita. Una modifica della costituzione elvetica attribuì infatti ai cittadini quel potere referendario di confermare, abrogare o proporre nuove leggi, che ancora oggi rende la Svizzera famosa nel mondo. In quegli stessi anni in Italia si era conclusa da poco la feroce repressione al sud, e il Regno d’Italia era diventato uno degli stati più centralisti e fiscalisti d’Europa. Come ricorda Gilberto Oneto, tra il 1860 e il 1880 la porzione di reddito nazionale assorbita dalla tassazione praticamente raddoppiò. Fra il 1865 e il 1871 si ebbe un aumento del 63 % delle imposte sul reddito e del 107% delle imposte sui consumi che gravavano soprattutto sulle classi popolari, come l’odiata tassa sul macinato che trasformava i mugnai in esattori, inaugurando la prassi italiana di mettere cittadini contro altri cittadini. All’inizio degli anni Settanta il ministro delle finanze Quintino Sella ammise che l’Italia era il paese più tassato al mondo. Nel 1892 la pressione fiscale raggiunse il 18 % del pil contro il 7 % dell’Inghilterra e il 10 % della Germania.

La tassazione eccessiva provocò la rovina dell’economia italiana, e con essa un fenomeno sconosciuto prima dell’unità: l’emigrazione di massa all’estero degli italiani. Tra il 1876 e il 1914 emigrarono 14 milioni di italiani, su una popolazione che nel 1881 era di poco superiore a 29 milioni. All’inizio gli emigranti partirono soprattutto dalle regioni del nord, in particolare dal Veneto. Il grande esodo meridionale cominciò con l’adozione delle tariffe protezionistiche del 1887, che colpirono soprattutto l’agricoltura del sud, gettando nella disperazione milioni di persone già oberate dalle tasse italiane e dalla pesante novità del servizio di leva, che distraeva per anni dai lavori nei campi le braccia migliori (G. Oneto, La questione settentrionale, 2008, p. 152, 154).

Il Regno d’Italia era anche uno Stato militarista e guerrafondaio: sentendosi grande e forte,
si lanciò in una serie continua di guerre che mai i piccoli Stati preunitari si sarebbero sognati di intraprendere. Dal 1861 al 1871 impegnò metà dell’esercito nella repressione della rivolta delle regioni del sud; nel 1866 entrò nella terza guerra d’Indipendenza senza alcun motivo (dato che l’Austria aveva già offerto il Veneto al Regno d’Italia in cambio della sua neutralità), rimediando alcune cocenti sconfitte; poi cominciò l’epoca delle sciagurate avventure coloniali in Somalia ed Eritrea, culminate con l’umiliante disfatta di Adua nel 1896, e in Libia nel 1911.

Per gli abitanti della penisola, comunque, le disgrazie non erano finite. Nel 1915 il governo italiano non seguì il saggio esempio di neutralità della Svizzera, e si gettò a cuor leggero nella fornace della prima guerra mondiale. Milioni di coscritti, quasi tutti poveri contadini, vennero spediti a morire nelle trincee. Quelli che cercavano di salvarsi la vita disertando o rifiutandosi di avanzare sotto il fuoco nemico venivano fucilati dai carabinieri che sparavano a vista sui “codardi”, o dai plotoni d’esecuzione che per punizione decimavano interi reparti. In questa “inutile strage” il Regno d’Italia sacrificò la vita di quasi settecentomila italiani, mentre un numero più che doppio di giovani rimasero feriti o mutilati.

Seguirono i vent’anni del fascismo, che dichiarava di voler portare a compimento la rivoluzione nazionale del Risorgimento, e la catastrofe immane della seconda guerra mondiale, che lasciò l’Italia completamente distrutta. Nel 1948 l’Italia evitò per un soffio di diventare una dittatura comunista di tipo staliniano, ma nei vent’anni successivi l’adozione di politiche economiche più liberali generò il cosiddetto “miracolo economico”. Forse è stato questo l’unico periodo positivo della storia dell’Italia unita. Nel 1968 si aprì infatti la stagione degli anni di piombo, del terrorismo e della crisi economica. Chiuso questo tragico periodo, negli anni Ottanta ebbe inizio l’epoca dell’esplosione della spesa statale, del debito pubblico, della tassazione e della corruzione, che ci ha portato alla crisi dei giorni nostri.

Il verdetto della storia sembra chiaro. In 150 anni di vita lo Stato nazionale ha dato agli italiani soprattutto due cose, morte e tasse. È venuto il momento di ripudiare questo esperimento fallimentare, questa parentesi sbagliata della nostra storia, e di rivendicare quella vocazione pluralistica e quelle libertà che hanno reso grande non solo la Svizzera, ma anche la civiltà italiana nei secoli passati.


mercoledì 8 ottobre 2014

La fine del settore industriale in Toscana

Dall' Ufficio Stampa 
TOSCANA STATO per l'Indipendenza della Toscana


Continua l'opera di annientamento scientifico dell'industria in
Toscana . In questi ultimi anni ne abbiamo viste parecchie : il
massacro del settore tessile a Prato,la crisi della Lucchini e lo
spegnimento dell'altoforno, la fuga di Fincantieri da Livorno,
eccetera eccetera eccetera.
Vertenze che dimostrano l'incapacità, la negligenza e anche il dolo
intenzionale dello Stato italiano nell'amministrare gli interessi
della gente di Toscana : questo ormai è un fatto politico di cui tutti
i toscani devono prendere coscienza.
Lo Stato italiano, burletta in Europa e ormai fallito
finanziariamente, privilegia interessi esterni alla Toscana, e sta
trattandoci come estrema periferia di Roma o al massimo come "terra di
mezzo" fra la parassitaria capitale, con il Sud, e la pianura padana.
Per tutelare questi "poli" di interesse, non si esita a smantellare,
sia per inazione sia per deliberata intenzione, le industrie del
nostro territorio, che nella storia indipendente è stato invece sempre
florido e produttivo, facendo sprofondare nella disperazione migliaia
di famiglie e facendo perdere fondamentali knowhow all'industria
toscana (come nel caso eclatante dei Cantieri Navali di Livorno).
Ora siamo alla nuova puntata di questa grande opera strategica mirata
a trasformare la Toscana in una "idealizzata" Disneyland a tema
rinascimento e medioevo che vive soltanto di alberghi, ristoranti e
agriturismi, alla mercé dei capricci dell'industria del turismo.
Ora è la volta della Raffineria Eni che sarà l'ennesimo tassello di un
processo che trasformerà il porto di Livorno, strategico
economicamente per la Toscana, da attrezzato e competitivo porto
industriale dell'alto tirreno, avampaese dell'Europa sviluppata sul
Mediterraneo, in un mero scalo per crocieristi. Mentre Genova, con la
complicità di Roma, si sfrega le mani : l'antico e mai domato Porto
Pisano è alle corde.
Se salta lo "Stanic" (come i livornesi chiamano affettuosamente la
Raffineria ENI) ci sono a rischio oltre mille posti di lavoro, senza
calcolare l'indotto, una bonifica ambientale da oltre un miliardo di
euro da effettuare con urgenza, ma soprattutto è in gioco la politica
industriale della Toscana che deve reagire per non essere messa
definitivamente, e beffardamente, nell'angolo da un Paese meschino a
cui ha dato quasi tutto (buona parte di quello di cui si può vantare
all'estero) senza ricevere quasi niente.
E' necessario anche sottolineare l'incapacità della classe dirigente
locale dominata da una sinistra d'apparato che per autoalimentarsi al
potere con il meccanismo della clientela, strada da sempre
privilegiata rispetto al genuino consenso, è dovuta venire a patti con
ciniche logiche d'interesse ed ora si ritrova obtorto collo impotente
e ricattata di fronte a scelte che vanno contro il nostro territorio.
L'altra parte di sinistra ideologizzata si comporta come se vivessimo
ancora nella Guerra Fredda, ripetendo slogan stantii di mezzo secolo.
Una tenaglia stile Stalingrado, che rende inetti nel cogliere e dare
corretta e compatta interpretazione identitaria a quello che sta
accadendo, come sarebbe accaduto in altre "regioni" d'Europa, come in
Scozia o in Catalogna, o anche d'Italia, come in Sardegna o in Veneto.
Non dobbiamo fare la solita figura da bischeri, come già sottolineò il
grande Indro Montanelli, esemplificata chiaramente nello "scippo" del
rottame della Concordia : in Toscana i danni, in Liguria il lavoro.
Non calcolando, ovviamente, per palese irrilevanza, che a capo del
Governo ci sia una marionetta originaria di Rignano sull'Arno.
Il nostro messaggio è che non dobbiamo rassegnarci a vedere scomparire
l'industria dalla Toscana, settore strategico per la sua sopravvivenza
e indipendenza  : non dobbiamo rassegnarci a vendere soltanto panini e
cartoline ai croceristi, come forse desidera qualche balordo a Roma.
Ma questo soltanto con la strada dell'autodeterminazione e
dell'indipendenza si può perseguire, e questo deve essere chiaro a tutti
: la Toscana si deve autogovernare affinché possa tutelare
efficacemente i propri interessi.

TOSCANA STATO per l'Indipendenza della Toscana
Ufficio Stampa
www.toscanastato.org

martedì 9 settembre 2014

Proporzionale "etnica" per i precari toscani

 Proporzionale "etnica" per i precari toscani

TOSCANA STATO per l'Indipendenza della Toscana

L'anno scolastico sta per iniziare e in seguito all'azzeramento degli effetti del blocco sulle graduatorie provinciali degli insegnanti precari, in Toscana si è assistito nuovamente ad una autentica "invasione" silenziosa, ma insidiosa, di ...insegnanti provenienti da alcuni territori dello Stato italiano, in particolare dal meridione .

Come movimento identitario, indipendentista e difensore della nostra cultura e della nostra specificità toscana, riteniamo di dover denunciare questa situazione che comporta due tipi di problematiche.

Il primo problema è l'inaccettabile discriminazione degli insegnanti precari "toscani", che sono scavalcati magicamente ed improvvisamente, dopo anni di sacrifici e di gavetta, dai loro colleghi che provengono da zone in cui vengono rilasciati certificazioni, abilitazioni, diplomi e lauree in una maniera che, lasciatecelo dire, forse è eufemistico definire come "disinvolta". E questo nonostante che al Meridione ci siano alcuni esempi d'eccellenza in campo formativo. Allo stesso modo sorgono anche domande e perplessità circa le modalità con cui vengono condotti i concorsi pubblici. Questo problema è aggravato ed amplificato dal fatto che molta parte di queste zone, per stessa ammissione del Ministero dell'Interno, sono endemicamente controllate dalla criminalità organizzata.

Nel 2014 l'assegnazione delle cattedre ad insegnanti provenienti dal Sud, o comunque da fuori Toscana, rasenta quasi il 100% del totale : ci chiediamo, e lo chiediamo al Ministero dell'Istruzione, se questo sia normale.

A fronte di questo regime "non dichiarato" di illegalità lo Stato centrale non riesce, o non vuole, dare risposta e si crea questa spiacevole situazione di attrito fra insegnanti locali toscani, o meglio, insegnanti che risiedono in Toscana (fra cui anche molti onesti meridionali che subiscono anche loro la concorrenza dei loro conterranei), e i nuovi soggetti che vengono proiettati avanti a tutti nelle graduatorie, senza alcuna spiegazione plausibile, come se gli insegnanti toscani fossero dei "minus habens" inferiori "razzialmente" ai loro colleghi di altre parti d'Italia. Abbiamo invece notizie di insegnanti di inglese che non sanno, o sanno poco, l'inglese, insegnanti di italiano che stentano a farsi capire dai propri studenti quando parlano perché si esprimono nel loro dialetto d'origine. E tutti provenienti da fuori Toscana e freschi di nomina.

E qui sorge anche la seconda problematica : alcune di queste persone che arrivano in Toscana non sanno nulla di Toscana. La cultura e la preservazione della toscanità è molto importante, anzi cruciale, e non deve succedere più (come è accaduto in una scuola della cintura fiorentina) che ad una bambina è stato un brutto voto, ed un rimprovero, perché ha scritto, nel biglietto d'auguri natalizi, "Babbo" anziché "Papà" . Certo un episodio minore ma significativo della strafottenza, dell'ignoranza e del disprezzo per la nostra cultura che hanno alcuni insegnanti catapultati in Toscana, che può influenzare negativamente le nuove generazioni di "toscanini".

A fronte di tutto questo il nostro movimento nelle prossime settimane inizierà una raccolta firme affinché anche in Toscana, come avviene dopotutto in Sud Tirolo, sia introdotta una legge regionale speciale che garantisca una sorta di "Proporzionale Etnica" nell'accesso al pubblico impiego che salvaguardi i residenti in Toscana .

Vogliamo modularla non legata all'appartenenza linguistica (obtorto collo stante lo scippo linguistico della nostra lingua effettuato dallo Stato unitario) ma legata ad un certo numero di anni di residenza in Toscana (almeno cinque) e legata ad una comprovata conoscenza, attraverso una prova scritta ed orale, della nostra cultura e della nostra storia. A chi possiede questi requisiti deve essere riservato almeno il 75% dei posti nel pubblico impiego, mentre il restante 25% potrà essere assegnato su base nazionale.

In attesa ovviamente dell'Indipendenza della Toscana, che garantirà il 100% dei posti pubblici ai cittadini toscani.

UFFICIO STAMPA
Toscana Stato per l'Indipendenza della Toscana www.toscanastato.org
(327/39.41.532)

mercoledì 11 giugno 2014

SFOGONE POST-ELETTORALE

Elettori: 49.256.169 - Votanti: 28.908.004 (58,689 %)
Sezioni pervenute: Definitivo Dato aggiornato al 26/05/2014 (Fonte: Ministero degli Interni)


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Ma che gente siamo?! Ovvero: ma con che gente abbiamo a che fare?!
        Guarda i voti delle ultime elezioni europee: ma non li vedi? 11milioni di comunisti andati a male, ancora insieme per gestire il potere e sfruttare i fessi che lavorano pagano e crepano...
[IL PEGGIORE IPOCRITA o del Rappresentante illuminato - Leo Tolstoy - Siedo sulla schiena di un uomo, soffocandolo, costringendolo a portarmi. E intanto cerco di convincere me e gli altri che sono pieno di compassione per lui e manifesto il desiderio di migliorare la sua sorte con ogni mezzo possibile. Tranne che scendere dalla sua schiena.]  

11 milioni: ma, all’ingrosso, non sono i voti degli statali parastatali e affini coi loro parenti? che han tutto l’interesse a che nulla cambi? loro il posto se lo sono guadagnato con chissà quante e quali raccomandazioni e fanno carte false per mantenerselo; e così la pensa anche parte degli ‘arrancanti’, che infatti non fanno una vera opposizione, ma piuttosto un affiancamento peloso che non esclude, e pregusta, tanti piccoli ricatti sotto forma di emendamenti. Pensate pure il peggio del peggio, per certo non vi sbagliate di molto. Anzi.

    A fronte 21 milioni di astenuti, poveri innocenti che porgono il collo sul ceppo del boia tassatore e parassita senza un bercio o una bestemmia; o poveri analfabeti. [IL PEGGIOR ANALFABETA -  Bertolt Brecht. «Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla né s’importa degli avvenimenti politici.      Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, delle scarpe e delle medicine dipende dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è così somaro che si vanta e gonfia il petto dicendo che odia la politica.      Non sa, l’imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il bambino abbandonato, l’assaltante e peggiore di tutti i banditi, che è il politico imbroglione, il mafioso, il corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.]
    Ora, io mi chiedo: ma dove sono i titolari di partite IVA? gli agricoltori, gli artigiani, gli artisti, i commercianti, gli imprenditori, i liberi professionisti? e gli operai senza IVA e senza santi in paradiso? son tutti in quella maggioranza relativa del 42,484% di astenuti e schede bianche? che se ci metti anche i 5stelle diventa maggioranza assoluta? ma che aspettano a riversare tutta la loro frustrazione e tutta la loro rabbia contro questo Stato di corrotti e di parassiti che impone tasse banditesche e incostituzionali, in quantità industriale da vero e proprio strozzinaggio? ma che aspettano ad assumere il comando delle operazioni? Hanno la maggioranza, che aspettano a sgombrare il campo da tanta corruzione e da tanto parassitismo?

    E mi chiedo: ma è possibile pagare il 70% sulla benzina? e il 70%, dicesi 70%! sul gas per la cucina e il riscaldamento? Peggio, molto peggio della tassa sul macinato, altro ladrocinio atto ad affamare gli affamati... E la casa? ti sei fatto un mazzo per farti un appartamento senza pretese, hai pagato un fior di mutuo con interessi e doppia parcella notarile per averne la proprietà, e quelli, i mangiapane a tradimento, te la tassano! ma non una volta, gli insaziabili, bensì sette volte, con l’IRPEF, IRES, CATASTO, IMU, IMPOSTA DI SCOPO, TARI E TASI. Ma non sai nemmeno quanto ti andrà a costare, questo bene, TUO per diritto naturale e inalienabile; non lo puoi sapere perché basta che i parassiti ritocchino i dati catastali per farti pagare di più, sempre di più, senza vergogna, senza limiti fino a rubartelo del tutto senza scomodarsi ad aumentare le tasse! Oh! già, ma secondo i comunisti la proprietà è un furto! salvo la loro s'intende… (Ricordate l’art. 53 della Costituzione, perché non lo cancellano?)

L’Indipendenza - 23 Maggio 2014 - Case pressate dal Fisco, previsti aumenti anche nel 2014
GIULIO GIRGIGLI
Non gli bastano mai, nonostante la pressione fiscale sia la vera affossatrice del mercato immobiliare. Anche nell’anno in corso, infatti, e’ destinato ad aumentare il peso del fisco sugli immobili. E’ quanto evidenzia la Cgia di Mestre secondo cui sull’intero patrimonio immobiliare (case, uffici, negozi, capannoni) grava un carico fiscale che nel 2014 raggiungera’ i 52,3 miliardi di euro. Rispetto all’anno scorso, questo importo e’ destinato ad aumentare di oltre 2,6 miliardi di euro (variazione pari al + 5,4%).  A questo risultato e’ giunto l’Ufficio studi della CGIA, sommando i 9,3 miliardi di euro di gettito legati alla redditivita’ degli immobili (Irpef, Ires, Registro e bollo, cedolare secca, etc.), gli 11,9 miliardi di euro riferiti al trasferimento degli immobili (Iva, imposta di registro/bollo, imposta ipotecaria/catastale, le successioni e le donazioni) e agli oltre 31 miliardi di euro riconducibili al possesso dell’immobile (Imu, imposta di scopo, Tari e Tasi).  
                
     E’ lo stalinismo che incombe mascherato da buonismo o altri artefatti del genere…
    
   E ancora mi chiedo: ma è possibile pagar contributi per la pensione senza che nessuno l’abbia chiesta? Una firma del re nel 1919 e ti ritrovi con un debito pensionistico senza che tu possa contrattare un bel nulla, senza darti la possibilità di guardarti intorno e magari scoprire che c’è di meglio dell’INPS; a Singapore per es. c’è di meglio, a conti fatti (interessi e capitale); e quando arriva l’età del pensionamento devi accettare quel che ti danno senza che tu possa interloquire. Tu puoi solo fare una croce, quando ti chiamano alle votazioni, e poi devi portarla per cinque anni!                                                                   
    E così per la scuola (bella scuola!), per i tutori dell’ordine (si fa per dire), per i magistrati (ma la Magistratura, è un potere o un ordine? ai posteri l’ardua sentenza!), per il lavoro (per cui, purtroppo, si agitano anche i sindacati tanto per giustificare la loro presenza, le loro paghe; per inciso, è costume inveterato che un sindacalista vada a fare il presidente all’INPS, e un dirigente di confindustria il vice: la lottizzazione corre sui contributi dei fessi)                                                                                            

    E’ possibile che, mentre tanti truffatori sguinzagliati nei punti chiave dell’informazione riversano tsunami di balle sull’economia, la finanza e il lavoro, i loro maledetti mandatari impongano una fiscalità tale da impoverire ogni e qualsiasi attività?  La risposta è SI’, sì, in ìtalia è possibile!            [FISCALITA’ MADE IN ITALY - M.Meneghini, da  Current. • A proposito di fisco e fiscalità generale in Italia:        
1. Il rapporto costo lavoro-compenso incassato dal prestatore d’opera è del 16 % superiore al paese più caro in Europa (Finlandia): dato 100 il costo del lavoro il prestatore d’opera incassa in Italia 48, se fosse in Finlandia incasserebbe 64;            
2. La fiscalità generale pesa sulle aziende e anche qui siamo di un 15% più cari del paese più caro in Europa (Svezia): da noi un’azienda paga il 63% di tasse la stessa azienda in Svezia pagherebbe 48 % sugli utili;            
3. Il costo dell’energia, luce, gas, è del 17% superiore al paese più caro in Europa (Germania).    
Concludendo un’azienda italiana il 1° di gennaio parte con un 50% di handicapp rispetto ad una sua concorrente europea; non parlo di aziende cinesi o indiane.]                                                                                                    
    E tutto ciò sopportando da perfetti sudditi fedeli [e fedeli sono i cani, i servi, i sudditi, i picciotti, i carabinieri, i marines, i servitori dello stato; i cittadini no! tutt’al più son leali, se gli pare], come è stato loro insegnato fin dalla scuola materna: sempre e comunque senza un bercio o una bestemmia, da perfetti IGNAVI.

    IL RITRATTO DEGLI ITALIANI (Dantis Allagherii, Inferno, Canto III)
   
                Ed elli a me: "Questo misero modo                 
            tegnon l'anime triste di coloro
    36    che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
        …………………………………………..
                 E io: "Maestro, che è tanto greve
             a lor che lamentar li fa sì forte?".
     45    Rispuose: "Dicerolti molto breve.
   
               Questi non hanno speranza di morte,
            e la lor cieca vita è tanto bassa,
    48    che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.

               Fama di loro il mondo esser non lassa;
            misericordia e giustizia li sdegna:
    51    non ragioniam di lor, ma guarda e passa".

domenica 27 aprile 2014

Io, l'Italia e la Toscana





Toscano Redini

Io, l’Ìtalia e la Toscana.

Lettera aperta a me stesso
in due premesse, otto capitoli e tre postmesse


Premessa 1a
    Finché scopri che la tua patria non è l’ Ìtalia, ma la Toscana.
    E scopri, finalmente, che tanto innaturale, artificiosa, forzosa e forzata è quell’Ìtalia,
quanto vera, genuina e naturale è questa Toscana, abbozzata, cresciuta e maturata senza artifizio alcuno, come il grano delle sue maremme, e il vino e l’olio delle sue colline, da quella Tuscia Langobarda che va dal Versilia all’Albegna e dall’Appennino al mare, e così nomata per separarla e distinguerla dalla Tuscia romanesca, abbandonata senza rimpianti al Papa.


Premessa 2a
    Sarà bene distinguer subito un’Italia geografica, come la intendeva von Metternich, e un Ìtalia statale attuale, come certo Savoia Vittorio Emanuele detto poi Secondo (di Carlo Alberto e di Maria Teresa d’ Austria-Lorena, nato nel 1820 a Torino e ivi residente in piazza Castello) la intese dal 1861 con tutti i suoi servi, coscienti e incoscienti; e come, purtroppo, la continuano a intendere tuttora i suoi discendenti, anche metaforici e/o sedicenti repubblicani, i servi dei suoi discendenti, e i discendenti dei suoi servi. Per cui, se non metti un accento sulla prima i alla prima, geografica, da cui derivano gli Italici, è giocoforza metterlo alla seconda, statale, da cui derivano gli ìtaliani, per tenerle ben distinte, e non confonderle, come si fa arbitrariamente e abusivamente, appunto, dal 1861.
    Io l’accento lo metto alla seconda, a quella artificiale, all’ogm; così: Ìtalia, ìtaliani.


I

Son nato e cresciuto in Toscana, sulla riva destra dell’Arno, nel segno del Fascio. Non per colpa mia ma per l’ineluttabilità dei tempi. Chi nasceva in quel tempo nella penisola italica, e la Toscana, pur aggrappata disperatamente al sud dell’Appennino tosco-emiliano fa parte di questa penisola, era, volente o nolente, figlio della Lupa e ipso facto chiamato Balilla. Ma questa è storia risaputa. Quel che non è risaputo, e tenuto ben nascosto dal culturame pseudostorico ìtaliano, è il fatto che Giovan Battista Perasso detto Balilla tirò il sasso in fronte a un soldato del generale Antonio Ottone Botta-Adorno, che per conto di C.Emanuele III re di Sardegna, alla testa di soldati piemontesi affiancati da rinforzi austriaci, aveva occupato Genova. Per Balilla era pur sempre uno straniero, ladro e mascalzone (infatti rubò e trafugò il tesoro della Repubblica di Genova; poi costretto ad abbandonarlo nel Polcevera sotto l’incalzare dei forconi liguri e ivi ritrovato nel 1892), ma non nel senso che ci han raccontato i futuri ìtaliani. Edificante! La sassata, chi la tirò e chi la prese, ma più che altro quel che gli ìtaliani ne han tratto, mettendolo addirittura nel loro inno, chissà a quale titolo...
    All’anagrafe poi c’era da fare i conti con i nomi propri del momento: a seconda della voga in atto, senza colpa ti ritrovavi Progresso, Libertario o Ideale; ovvero Vittorio, Armando o Trieste; o anche Aduo, Tripoli, Bengasi o Asmara; o infine Arnaldo, Benito, ancora Vittorio, o Romano e via nomando senza troppa fantasia.
    Non ho fatto eccezione io. Figlio della Lupa (lupa... cioé... fuor di metafora, frequentatrice di lupanari.. via! diciamolo), che partorì allattò e allevò due gemelli: Romolo e Remo; ma il celebrato è il primo, il secondo durò poco, con tutto quel che ne seguì [ma guarda te da che può dipendere il tuo nome. NdR]), io Figlio della Lupa ma anche Figlio d’Ìtalia, e perciò Balilla, mi son ritrovato Romano Alberto anziché soltanto Alberto come la buona memoria del nonno paterno suggeriva.
    Pazienza. Non sarà un nome a decidere un destino (però ti condiziona!).

II

Ma il peggio venne dopo, alle scuole elementari. Cominciarono a inculcarmi che era bello morire per la Patria, con la P maiuscola s’intende; che la Patria aveva dei confini, sacri; che la Patria aveva dei destini, immarcescibili; che la Patria aveva un cielo, corrusco; che la Patria aveva una Bandiera, anche questa con la B maiuscola, la più bella del mondo, da amare; che la Patria aveva dei nemici, con la n minuscola questa volta, da odiare maledire e stramaledire; e che anche i nemici avevano le loro bandiere, ma tutte brutte, tutte da odiare.
    Così provarono a farmi odiare, già dalla prima, l’Austria e gli Austriaci. Gli Austriaci, incredibile! Ma esiste al mondo gente migliore degli Austriaci? Odiare
Vienna?! Come si può solo pensare?!
    Il lavaggio del cervello di noi poveri bimbetti delle scuole elementari non trascurava alcun aspetto della nostra vita quotidiana: giocattoli, figurine, fumetti, tombole, giochi dell’oca, sport, mens sana in corpore sano, libri di testo, materiale didattico, faccetta nera, tutto era teso allo stesso scopo mistificatore. Una vita inoltre scandita da feste, mezzefeste, anniversari, ma soprattutto commemorazioni: si commemorava un pò di tutto, da Orazio Coclite a Pontida a Garibaldi, da Muzio Scevola a Lepanto alla Marcia su Roma, da Cincinnato a Masaniello al Carso, da Cesare a Colombo a Pisacane, dall’Impero che fu, all’Impero che dopo 15secoli15 era riapparso in tutto il suo fulgore su quei 7bischeri colli7, sempre loro, sempre fatidici, sempre ermi, sempre più stolidamente fatali; e si marciava, oh! se si marciava, petto in fuori e pancia in dentro, in corteo, coi gagliardetti e la medaglia del Duce precariamente appuntata sul nodo dello scivoloso fazzoletto di raso blu legato al collo, che se la mettevi storta quella medaglia e costringevi il Duce a guardare per terra, rischiavi di prendere una manata dal Capomanipolo di turno tutto azzimato in una fiammante sahariana, che poi qualche anno dopo, in una fiammante camicia rossa alla falce e martello, ti voleva  dare una manata perché non eri comunista come lui!  Valli a capire questi ìtaliani!
    Ma si sa, il tempo passa e gli uomini cambiano... le sahariane, per esempio, ormai non più di moda.
    Io invece ero restìo, a cambiare; la mia camicia nera, oltretutto, tornava così bene a scuola, capace com’era d’assorbire e mascherare tante macchie d’inchiostro.
    Poi il mio babbo m’aveva insegnato che era meglio rompersi una gamba piuttosto che rompere una promessa; che era meglio mangiare una cipolla in serenità, che un pollo arrosto con la coscienza di traverso. Così, con le lezioni di etica del genitore e con tutti i giuramenti e le promesse che la maestra Bini m’aveva estorto raccontandomi di Roma, dell’Ìtalia, del Papa, del Re e del Duce, quando si rigirò la frittata per me fu dura, molto dura, adeguarmi al brusco voltafaccia.
    Ma più duro fu capire perché, con un’Ìtalia così fatta come meglio non si poteva, con quella pò pò di storia di millenni alla testa del mondo e della civiltà come m’aveva raccontato la maestra Bini, gli ìtaliani si fossero così selvaggiamente e incivilmente sbudellati tra di loro per un paio d’anni. Ma come, il faro della civiltà, la culla del diritto, la pietra angolare del cristianesimo, la Roma caput mundi (o kaputt..?), il Papa che benediceva urbi et orbi, il Popolo di santi, di eroi, di artisti e di navigatori, e di trasvolatori, e di civilizzatori, e d’inventori, e di coltivatori, era precipitato nel giro di qualche mese nell’abbiezione di una guerra civile (l’unica cosa rimasta civile) che definir vergognosa è un leggiadro eufemismo. Mah!

III

Poi sono arrivato alle Medie. E alle scuole medie cominciò il secondo ciclo di lavaggio. Contrordine: tutto il male era il fasci- smo, in combutta con la monarchia e il  nazismo. Ora, con la repubblica, si sarebbe marciato (vai! ci risiamo, a marciare) verso il sol dell’avvenire, questa volta, o in ogni caso nel segno di quella democrazia e di quella libertà che finora erano state brutalmente calpestate e soffocate e che venivano da lontano, di là da un oceano per certi, di là da una steppa per altri. Comunque non c’era da sbagliare né da dubitare: la resistenza all’invasore (anche se non era ben chiaro chi fosse l’invasore), condotta senza quartiere e con inenarrabili eroismi sulle impervie montagne e nelle assolate pianure, corroborata dal sangue di tanti martiri del secondo risorgimento (e quindi fanno due: ma com’è facile risorgere in chisto paese do’ sole...), aveva finalmente trionfato nel nome della giustizia e della libertà. La lotta di un intero popolo, forgiato nel sangue di tanti poveri morti di ben due risorgimenti e di qualche altra guerretta tanto per non perdere il vizio, e insorto come un solo uomo contro l’oppressore, era alfine vinta. Ancora una volta i resti di un esercito teutonico risalivano sconfitti quelle valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza; o qualcosa del genere...
    Era lo stesso popolo di santi di ecc.. ecc.. che nemmeno dieci anni prima aveva vinto un’altra battaglia decisiva e definitiva nel senso diametralmente opposto. Ma non importa: l’importante è che il popolo vinca, sempre, e sia talmente convinto di vincere da pagare tutte le tasse che gli appioppano senza far pè, costi quel che costi, sia pure sudore e sangue (infatti degli spudorati sono più volte arrivati alla balordaggine di promettere sudore e sangue; e sai com’ è andata a finire? nessuno li ha presi a bastonate... ma non lo raccontate, ce n'è già a iosa per vergognarci come bischeri sciolti).
    La maestra Bini, sempre al suo posto, continuava a insegnare tragiche facezie. Aveva semplicemente cambiato spazzolone al manico risorgimentale, gettando quello fascista per innestare quello antifascista; ma la prosopopea patriottarda, dalla lupa agli sciacalli, dai cani ai conigli, era sempre la stessa; come del resto era sempre lo stesso il manico risorgimentale, spudoratamente allungato all’indietro fino a farci rientrare il diavolo e l’acquasanta, regimi tirannici e rivoluzionari, rinascimenti, comuni, repubbliche marinare e terricole, imperi regni e signorie, dittatori consoli e tribuni, vicari senatori e lucumoni, e quant’altro potesse servire alla bisogna per confezionare il piatto di un’unità da imporre col ferro e col fuoco; ma soprattutto con l’inganno, la menzogna e il condizionamento mentale.

IV

Par di raccontare un incubo; ma la realtà è peggiore degli incubi. Il fatto è che gli ìtaliani sono, ab ovo, divisi in due categorie: quelli che vanno e vengono, e quelli che rimangono, succeda quel che succeda. Son questi ultimi che assicurano la continuità: monarchici con la monarchia, repubblicani con la repubblica, fascisti col fascismo, antifascisti con l’antifascismo, democristiani finché tira la democrazia-
cristiana, o anche socialisti, se il socialismo si mette a tirare con la democraziacristiana, o anche l’uno e l’altro insieme, che non guasta mai, comunisti col comunismo se fosse venuto Baffone, ove russi e americani non avessero deciso di lasciarci dall’altra parte del mondo.
    Per questi ìtaliani inamovibili l’importante è sempre stato, e sempre sarà, lo stesso: che la barca Ìtalia galleggi; che navighi da una parte o dall’altra, che diriga di qua o di là, o che scarrocci, purché senza troppi rollii o beccheggi, non è poi così importante; l’importante è che galleggi con tutta la sua ciurma di ammanicati ben abbarbicati da perfetti parassiti e in netta maggioranza, ormai, sui poveri fessi che remano sottocoperta senza un pertugio da cui intravedere perché poi remino tanto e per chi...
    E i primi, quando il ricorso ai sacri confini o agli indiscussi primati etnici politici religiosi giuridici letterari filosofici artistici scientifici sportivi turistici culinari non tira più, si permettono anche il lusso di fare i democratici; tanto hanno la maggioranza! Vengono a raccontare che si turano il naso prima di votare, ma votano; che tutti devono pagar la tasse, ma loro riscuotono; che urgono le riforme, ovviamente di loro pertinenza quali esperti e nessuno è più esperto di loro nel far le riforme senza cambiar nulla lasciando tutto come prima; riforme nette che contrastino l'assistenzialismo che non sia il loro, lo spreco del denaro pubblico da parte dei non addetti ai lavori e il corporativismo sindacale che qualcuno non si metta delle idee in testa; poi il maggioritario, il presidenzialismo, il metodo delle riforme, la riforma liberale, la riforma della magistratura, il liberalismo, il socialismo dal volto umano come se il socialismo potesse avere un volto umano, e il federalismo, il tutto in uno Stato che abbia poche leggi (non più di trecentomila), e chiare; altro? mah, mi faccia anche un etto di prosciutto crudo... ma che sia magro e un pò di quel rigatino... grazie; dicono anche che così non si può più andare avanti, e allora quatti quatti si aumentano gli stipendi: è l’unica consolazione che rimane a questi poveri lavoratori dell’intrallazzo più sudicio.
    Dove andremo a finire... borbottano scuotendo la testa, che tempi! di questo passo ci toccherà darci un aumento di stipendio ogni mese..! Comunque c’è sempre la risorsa di qualche bomba da far scoppiare da qualche parte o di qualche scorreria in qualche città di no-global social soviet forum black block cric e crac et similia, per trarne lo spunto di riaffermare per l’nª volta, tutta la saccenteria e tutta la prosopopea retorica di un patriottismo falso come un soldo bucato.
    Vai, compra un tricolore per tutti gli edifici pubblici coi soldi dei fessi, mettici accanto quello straccio blu con dodici stelle che se non stai buono di stelle te ne fan vedere centoventi, e oltre le stelle ti fan vedere Caino che fa le frittelle, e dai a intendere per almeno quaranta volte al giorno (5 tg al giorno per 8 canali nazionali fa 40), più i giornali-radio e la stampa, quotidiani e fatiscenti settimanali, che si sta marciando (ancora!) verso un futuro radioso di telefonini e di ogm, ma soprattutto che la barca va! Vai, bischero, rema, rema che la barca va. Ma ’n dove va? Che te frega dove va?! Lo sanno loro, dove va, lo sanno i saccenti che beccano da 35 milioni in su al mese con allegato un fottio di prebende e privilegi; nun te preoccupa’, te sta’ zitto; e rema...
    Sta a vedere che ci han liberato dai nazi-fascisti per dar modo ai ladri democristosocialcomunisti di derubarci a suon di tasse, liberamente e democraticamente, s’intende. Mah! Sarà... ma il sospetto aleggia subdolo e beffardo.

V

Allora, sulla scia del sospetto, comincia a insinuarsi qualche dubbio (comincia? Poffarbacco, ce n’ è voluto..!). C’è qualcosa che non torna. Anzi, son troppe le cose che non tornano, che vengono contorte, adattate, viste, riviste, lasciate, riprese: s’attacca il manico dove torna, insomma. E dove non torna? si fa tornare.
    E i dubbi ingrossano: non sarà mica il concetto stesso d’Ìtalia che non torna? Quella con l’accento, intendo. Non è un contenitore in cui si vogliono far stare troppe cose che spesso fanno a cazzotti fra di loro? e altre che non c’ entrano per nulla e ci si fanno stare a forza?
    Per esempio: i sacri confini della Patria han richiesto una guerra santa, più di mezzo milione  di morti (680mila!) e più di un milione di invalidi (1milione e 200mila) per essere portati al Brennero; per contro nemmeno una scaramuccia o un ferito magari per sbaglio per allontanarli da Como e portarli, come geografia comanderebbe, al San Gottardo e al San Bernardino. Già, ma il pericolo veniva dall’Austria (e dalli, con l’Austria), mica dalla Svizzera; allora non era una questione di sacralità, cioé i confini non erano sacri (bugiardi!), ma piuttosto una mera questione di comodo. Ma allora, se era una question di comodo, perché sono state rigettate quelle offerte allettanti e comode dell’Austria del 1914 e financo del 1915, che ci avrebbero risparmiato quattr’anni e mezzo di massacri e di patimenti? perché non sono state nemmen prese in considerazione? Se era una questione di comodo (ri-bugiardi!) e non di sacralità, perché sono state ignorate? Allora forse c’era davvero anche una questione di sacralità... o no!? Io, per la verità, ormai libero da tanti falsi pregiudizi, penso si sia trattato di una mera questione di pura, semplice, squallida, stupida demenza boriosa, col re sabaudo a fare il burlamacco di turno nel carnevale ìtaliano (con le più sentite scuse al vero Burlamacco, legittimo Re del Carnevale di Viareggio).                     
    A riprova di ciò ho sentito più d’un cinico sfacciato affermare senza vergogna che la coscienza nazionale aveva bisogno d’un bagno di sangue per essere rafforzata, consolidata... per finir di «fare gli ìtaliani» di dazegliana demenza, insomma!
    Intanto gli Svizzeri continuano a occupare beatamente una regione lombarda
come il Ticino (e fan bene, almeno i Ticinesi stanno al riparo dall’Ìtalia)  e nessuno dice niente. Come recita l’inno? «Il Piave mormorò: non passa lo straniero!»; ma i Savoia non eran della Savoia? cioé di là dalle Alpi? e non parlavano francese fin dopo l’unità d’Ìtalia mentre noi Toscani si parlava toscano da più di mill’anni? per loro, il Piave non mormorava? Sempre zitto il Piave nei confronti di questi stranieri, Svizzeri o Savoiardi che fossero, sempre zitto, nemmeno un bisbiglio, nemmeno un fiato.  Chissà cosa s’inventerebbe ora la maestra Bini con tutte le sue etichette fasulle e il suo spazzolone ultimo modello, magari euro (o neuro).
    Ma ora i Savoia non ci sono più. No, ma gli Svizzeri sì. E al Quirinale, dove prima c’era il Papa e poi il Re, ora c’è il Presidente della Repubblica eletto come tutti sanno, cioé non dal popolo, ma con un inciucio interpartitico; un presidente affatto inutile, anzi dannoso, che si porta a casa un appannaggio di 420 milioni di lirette e diverse pensioni per altri 860 milioni annui, per un totale di 1280 milioni all’anno, 106,6 milioni al mese, 3,5 milioni al giorno (quanto a spese, forse era meglio se ci tenevamo il re, forse la Corte reale era meno costosa della Corte repubblicana) (1); poi ci sono gli ex-presidenti che si prendono quel che prendevano prima più il mantenimento statale di 16 loro servitori, diconsi 16 (sedici!), poi c’ è il Governo con un altro Presidente, e poi i Ministri, tanti, troppi, e giù giù i sottoministri, i direttori ministeriali, i capidivisione, i segretaricapi, i segretari e basta, i prefetti, e giù giù ancora fino agli appuntati, ai militi, ai commessi, agli uscieri, ai manovali di Stato, in una piramide che è esattamente quella di prima, anzi, peggio di prima, perché ora, con oltre cent’anni di rodaggio è perfettamente consolidata, stagionata e così inattaccabile da non temere nemmeno una scalfittura; così perfettamente rifinita, perfezionata e oliata da funzionare meglio di un orologio svizzero ai fini della propria autoperpetuazione.
    Rispetto a quella di prima, in verità, qualcosa di diverso c’è: le etichette. Ecco, son cambiate le etichette, ma la merce è sempre quella: i potenti, pardon, i prepotenti son sempre prepotenti, i nobili son sempre nobili, i padroni son sempre padroni e il popolo è sempre popolo, fesso, da dirigere perché è ignorante, col bastone, con la carota e con gli imbonimenti più svariati, da un Sanremo a un Mondiale di calcio, da un Teleton a un Fratellone...
    E in tutte le scuole si continuano a propinare le stesse menzogne spudorate, senza pietà. E chi vuole una cattedra, dall’asilo nido all’Università e oltre, deve mettersi in riga... in una lista d’attesa stilata secondo il Manuale Cencelli (vedi).
(1) - da Lit a €: vedi Pm 3 in fondo]

VI

Il cuneo del dubbio allarga la crepa. A casa di una concittadina, maestra per cinque decenni senza insegnare niente a nessuno, ma anzi danneggiando impunemente il contenuto di quelle fragili scatole craniche di tanti poveri bimbetti innocen  ti, apro a caso un libro sulle Repubbliche marinare e leggo: «L’Ìtalia domina il Mediterraneo». L’Ìtalia? Ma quale Ìtalia? Ma che farnetica questo bischero?! Ma dov’era l’Ìtalia in quel tempo?! Non c’era, sic et simpliciter, non c’era e basta. C’erano invece Pisa, Genova, Amalfi, Venezia, sul mare, a commerciare, a combattere e a scannarsi coi Saraceni, in Sardegna, in Corsica, alle Baleari, in Sicilia, e anche più in là, e anche tra di loro, seguendo le regole naturali di una concorrenza libera e spietata. «Già, ma quelli citati eran tutti ìtaliani», ghignerà il solito coro d’imbecilli che non riescono a distinguere un’e-spressione geografica da uno Stato inventato, purtoppo, ottocento anni DOPO le Repubbliche marinare. NO! Non erano ìtaliani; erano forse italici, a volerci sbilanciare! Non ìtaliani con l’accento sulla prima i (vedi la 2a premessa!) come il bischero vuol darmi a intendere!
    E non è una mera differenza di accenti, è una differenza abissale di etnia, di costumi, di istituzioni, di lingua, di cultura, di civiltà. Come si può spacciare un’uniformità quando non c’era, e non c’è, nemmeno una somiglianza malgrado 150 anni di pestaggio educativo ìtaliano? Sarebbe come dire che spagnoli, portoghesi, baschi e catalani, essendo tutti iberici, condividono e vantano, tutti assieme, il genio di Vasco de Gama, di Velasquez, di Goya o del Cervantes; o come dire che svedesi, norvegesi e finlandesi, essendo tutti scandinavi condividono e vantano in fraterna comunione le glorie di Amundsen, Nobel, Hamsun, Ibsen o Sibelius; o come dire che sloveni, serbi, croati, bosniaci, bulgari e rumeni, essendo tutti balcanici, meritano la stessa stima, lo stesso rispetto, lo stesso trattamento, e uniti per Dio, chi mai li dividerà. 
    Gli  ìtaliani, sudditi di uno Stato detto Ìtalia, son venuti dopo il 1861; ad appropriarsi di meriti non loro, a pavoneggiarsi d’opere e d’imprese frutto dell’ingegno di genti che abitavano lo zoccolo continentale (alpino e cisalpino) e la penisola italica e che l’ÌtaliaStato hanno semmai osteggiato e combattuto (poco, purtroppo). Il Grande Vecchio ottocentesco ha imbastito e orchestrato il più grande coro di imbecilli che si sia mai visto da queste parti, lo ha fatto cantare all’unisono sul falso tema di un’Ìtalia partorita dalla sua fantasia interessata, molto interessata, ha messo a tacere chi cantava fuori del coro, e questo coro ha fatto cantare così bene e a lungo che alla fine, quasi quasi, ci ha creduto anche lui.  Così gli ìtaliani han fatto man bassa di quanto gli serviva per dar corpo a un’invenzione fasulla, rapinando innanzi tutto la nostra volgare e nativa toscana lingua [Verbali Anziani di Lucca, A.D. 1539 – Dantis Allagherii, Del bel paese là, dove il sì suona, Inferno, XXXIII, 80, A.D. 1300 – Giorgio Vasari, LE VITE, Descritte in lingua toscana,  A.D. 1550 -  Giacomo Casanova, ILIADE in idioma toscano, A.D. 1778; tanto per fare qualche esempio], abusivamente etichettata, questa nostra povera lingua toscana (e nelle etichette gli ìtaliani son dei veri specialisti, bisogna riconoscerlo, etichettano per ìtaliani anche quei Tirolesi che sciano per la GdF, o quei sud-americani che giocano a calcio per la FIGC...) abusivamente etichettata, dicevo, come ìtaliana e come tale abbandonata sciattamente, senza alcun rispetto, a ogni inquinamento per mano d’una burocrazia e d’una classe intellettuale furbastre e ammanicate, e di una scuola che se sparisse faremmo subito un salto in alto di qualità quanto a educazione e istruzione... Ma tanto che gliene frega!? non è mica roba loro. Ma sarebbe lo stesso, anche se fosse roba loro. Chi non ha rispetto, non si pone il problema del rispetto, né per sé, né per gli altri. Non è mica buono da mangiare, er rispetto, e nemmeno è buono per condire ’i spaghetti o farcire ’a pizza... E allora che ce fai, co’ rrispetto?! che te frega der rispetto?! Manco se magna..! 

VII

Il cuneo del dubbio allarga sempre più la crepa e rode dolorosamente sempre più nel profondo. Allora uno riprende in mano i libri di scuola e, in una specie di delirio masochista, vi ripercorre un cammino allucinante e disperato fatto di inganni, di bugie, di interpretazioni truffaldine, di falsità, di bischerate nazionali e continentali, snocciolate di pagina in pagina in una sequenza abominevole. Allora uno si chiede come sia potuto accadere d’aver studiato così male, così falso; come sia potuto accadere d’essere stato infinocchiato per tanti anni, quelli più importanti, quelli della formazione culturale, sociale, politica... Allora uno comincia ad arrabbiarsi con chi ha scritto quei libri, con chi li ha scelti, con chi li ha imposti, con chi li ha fatti leggere obbligatoriamente. «Non siamo insensibili al grido di dolore che da più parti...»: o bischero! ma chi t’ha cercato?! «Qui si fa l’Ìtalia o si muore»: ma chi t’ha pagato con un milione di piastre turche?, e poi, ma perché non sei morto?! «Fratelli d’Ìtalia»: sì, di quale loggia?! la Pi-due? la Pi-tre? o che altro..? «Fatta l’Ìtalia, restano da fare gli ìtaliani»: ma fatti gli affari tuoi, cretino! «Tireremo dritto»: sì, ma ‘n dove?! non sarebbe meglio: che Dio ci condu’a in doe si mandu’a? «L’ora delle grandi decisioni batte nel cielo della patria»: sì, a morto!
    Alla fine uno s’arrabbia, col regime. Ma quale, se tra un regime e l’altro c’è solo una differenza d'immagini, di etichette, appunto, e in questo gli ìtaliani sono maestri, ben lo sappiamo, ma nessuna differenza di sostanza... Si naviga a vista, a naso, dirigendo ove qualcuno crede d’intravedere del buono, senza trascurar di rubare, en passant, a destra e a sinistra, e al centro, naturalmente.

VIII

La crepa ormai è enorme. Il dubbio diventa certezza quando, ora che hai un pò di tempo e non sei pressato da problemi di sopravvivenza, vai a controllare sugli originali quel che ti han dato a intendere con quei libracci di testo d’ìtaliano, di storia, di filosofia, con quelle antologie accuratamente vagliate e spocchiosamente controllate: sì, è certo, non sussiste alcun ragionevole dubbio, l’Ìtalia è un’invenzione artificiosa, studiata al tavolino e realizzata con gli strumenti più ignobili dell’armamentario d'un fottio di mascalzoni, a scopo di lucro, aiutati nella bisogna da schiere di utili idioti che, in piena crisi mistica di buona fede, si son prestati in ogni circostanza a far da scudi umani.
   
    E la Toscana...

        Oh! Toscana, mia Toscana,
             Così dolce, così bella,
             Terra d’ arte, di sapienza,
             Di soavissima favella...

       
        Eccetera eccetera....
                       Da una vecchia filastrocca di Anonimo.

Toscana di mare, il 3 luglio 2002.
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PM 1
Esempio di prosa ministeriale ìtaliana.
    «Credo di poter dire con certezza che mi sembra del tutto improponibile si possano fare delle ipotesi sulla probabilità che...» sic di un ministro del governo ìtaliano (Buttiglione): un bel parlare concreto e conciso, che non lascia adito a malintesi o a dubbie interpretazioni...

PM 2
E diciamolo, una volta per tutte, pane al pane e vino al vino: vi sono italici e ìtaliani. Smettiamola di barare e di far confusione. Ci son cose italiche e cose ìtaliane; non confondiamole!... Non hanno nulla in comune, se non l’inganno secolare di accomunarle.

PM 3
Traducendo le lire in euro non è lecito dividere per 1936,27, ma solo per 1000, poiché invero il cambio delle lire in euri fu calcolato programmando una svalutazione del 100% del potere d’acquisto dei bischeri a reddito fisso. A riprova, nei cesti dei mercati ove si offriva tutto a 1000 lire, con l’avvento dell’euro il mille diventò un 1 e le lire divennero €.
Da tutto a 1000 lire, a tutto a 1 euro, ladro come chi l’ha introdotto.


PM 4
La Toscana fu il paese d'Italia che più compiutamente d'ogni altro eliminò il feudalesimo ed ebbe i più evoluti Comuni di contado; e prima mise al sole i frutti della lunga elaborazione interiore, le forme di una civiltà affatto nuova nell'arte e nella lingua, da cui scaturirà nel tempo la civiltà moderna. Gioacchino Volpe (mod.)
PM 5
Articolo 50 - Era il 4-5 dicembre 1947. Art. 50. Questo il testo proposto dalla Commissione dei 75: “Quando i poteri pubblici, violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la Resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino". Non approvato, anzi, respinto in malo modo dall’Assemblea Costituente, come ordinato dai capi-partito che erano Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e Salvatore Lucania detto Lucky Luciano…
PM 6
A proposito d’imperi mi son sempre chiesto perché, se l’impero romano era nato e cresciuto in Italia, perché nessuno ha mai parlato di impero italiano? Mistero della fede? No! basta ammettere finalmente che l’impero romano era nato e cresciuto in una terra detta Italia senza accento sulla prima I, cioé geografica, e non ha mai avuto niente a che fare con un’Ìtalia con l’accento sulla prima Ì, cioé quella artificiosa inventata circa 1300 anni dopo la liquidazione dell’impero. Il resto appartiene alla Befana.
PM 7
Alle generazioni che si sono affacciate nel secondo dopoguerra, io dico di guardarsi bene dall'accettare a scatola chiusa quanto vien loro raccontato; con gli ìtaliani non c'è mai da fidarsi. Anche con la repubblica, prima o seconda che sia, si son raccontate e si raccontano balle in quantità industriale. Non occorre andare a cercar la verità col lumicino e con fatica; anche una ricerca superficiale vi fa scoprire inganni e menzogne che tanti autori, in questi ultimi settant'anni, si sono presi la briga di annotare. Cercate, con pazienza, cercate e... chi cerca trova!
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Sull’ Ìtalia e gli ìtaliani

L’occasione fa l'uomo ìtaliano. Verità apodittica
Potere - l’Assemblea Costituente affrontò un dibattito dal quale prevalse la tesi che deve considerarsi un potere democratico dello Stato solo quell’organo ch’è stato investito da un mandato elettorale. E’ mai stato letto un magistrato? No! Allora perché la Magistratura è un potere? Assemblea Costituente
La Svizzera è povera e montuosa come l’Albania, anzi peggio, perché priva del mare, ma vi abita il popolo più ricco e civile del mondo perché da sempre è il popolo più libero del mondo. Mentre in Albania. Mauro Aurigi
Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi. Bertolt Brecht
Gli ìtaliani vanno alle partite di calcio come fossero guerre, e perdono le guerre come fossero partite di calcio. Winston Churchill
L’ Ìtalia esiste solo nella fantasia di quei maiali che hanno tutto l’interesse che esista... Franco Celtica
Non si possono risolvere i problemi usando la stessa logica che li ha generati. Albert Einstein
La separazione volontaria sostituisce la coabitazione forzata. L' integrazione forzata crea inevitabilmente tensioni, odî e confitti. Al contrario, la separazione volontaria porta all' armonia sociale e alla pace. Hans Hermann Hoppe
L’ Ìtalia è libera - Dio la conservi - Siam tutti servi - In libertà. Malaparte, Epigrammi
L’ Ìtaliano è un uomo morto che fa vergogna a chi l’ ammazza. Malaparte, Epigrammi
Con il consenso della gente si può fare di tutto, cambiare i governi, sostituire la bandiera, unirsi a un altro paese, formarne uno nuovo. Gianfranco Miglio
La vera patria di ciascuno non è già il regno o la repubblica a cui appartiene. L’ÌtaIia è troppo grande per ciascun ìtaliano: la patria genuina non può essere che piccola. Io mi sento profondamente toscano. Non basta scrivere la stessa lingua ed essere governati dallo stesso codice per dire di aver la stessa patria. Provo per Roma una repulsione che arriva quasi all'odio. Roma è un deserto, lontano dalle province più attive e ricche del Paese. Giovanni Papini
L’unica pena certa in Ìtalia, è quella che fa a chi la guarda. Nodino
Chi campa d’Ìtalia non lavora mai e vive meglio di chi campa di lavoro. Nocho di Jaturno
Guardate il mondo com' è, non come ve lo vogliono far vedere. E' una faticaccia, ma ben ricompensata... NdA
L’Ìtalia è un OGM concepito, programmato e sintetizzato nei laboratori della massoneria anglo-sassone. Ciccino d’Avane
Le papere, che uscendo dall' uovo han visto per prima cosa Lorentz, gli van dietro credendolo la loro madre. Ma non solo le papere...  Gino di Piattaia detto Piattaino
Non badare a quel che uno dice. Sta’ attento a quel che fa. Meo Abbracciavacca
I governi ìtaliani amano talmente i poveri che li creano. Marietto Cerneaz
L’Ìtalia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Ìtalia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono. Giuseppe Prezzolini
Dime can, ma no talian. Popolo veneto


martedì 8 aprile 2014

L’Autodeterminazione prevale sulla Costituzione

L’Autodeterminazione prevale sulla Costituzione

Da ricordare a chi dice che non è possibile promuovere la causa indipendentista in quanto contrastante con la Costituzione :
Come tutto il diritto internazionale, il diritto di autodeterminazione viene ratificato da leggi interne, per esempio in Italia la L.n.881/1977, e vale come legge dello Stato che prevale sul diritto interno (Cass.pen. 21-3 1975) .
Quindi il diritto all’autodeterminazione prevale anche sulla Costituzione che è una legge, pur fondamentale, dello Stato italiano . E lo dice lo Stato italiano stesso con la sentenza della Corte di Cassazione del 1975 .
Inoltre con la Legge 85 del 2006 adoperarsi ed organizzarsi democraticamente per raggiungere l’Indipendenza della propria terra dallo Stato italiano non è più considerato reato d’opinione dal codice penale.
Riferimento normativo

NASCE TOSCANA STATO

Nasce TOSCANA STATO

La presente per comunicare agli organi di stampa, e a tutti coloro interessati, che il 12 Aprile p.v. alle ore 17,00 presso l’Hotel Lorena (via Faenza, Firenze , zona Cappelle Medicee) sarà fondato il primo movimento indipendentista toscano del dopoguerra che si chiamerà “Toscana Stato” . Toscana Stato si prefigge di iniziare un percorso che, attraverso metodi democratici, possa finalizzarsi in una Toscana autonoma ed indipendente . Vogliamo uno Stato Toscano repubblicano, europeista e democratico ed inteso come federazione dei comuni storici della Toscana, lontano anni luce delle pastoie burocratiche e della morsa fiscale che caratterizza la palude italiana . La Toscana per noi , già indipendente per 1300 anni a partire dalla fondazione del primo Ducato di Tuscia, è una entità culturalmente ed antropologicamente distinta dal resto dello Stato italiano, ed ha tutte le premesse storiche e legali per avere un suo stato libero.
A pochi giorni dal referendum in Veneto che ha dimostrato la chiara volontà dei veneti di distaccarsi dall’ormai fallimentare stato italiano , un manipolo di toscani coraggiosi , ed orgogliosi , iniziano il loro percorso verso l’indipendenza .
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