Stephen Hawckins

Noi esseri umani siamo dei tipi curiosi. Siamo sempre a caccia di risposte. Le inseguiamo sui terreni più ardui, chiedendoci se la vita ha un significato. Penserete che si tratti di una questione filosofica, ma, secondo me, la Filosofia è morta. La risposta è nella Scienza. Stephen Hawckins, Disegno dell’Universo, parte II.


... e miglior ventura per noi sarebbe se i problemi di Firenze e della Toscana fossero visti e risolti con l’ occhio e le decisioni dei Fiorentini e dei Toscani”. Anonimo toscano

Chi nella vita crede di procedere senza le sacre leggi della logica e della matematica, si pasce di confusione. Leonardo da Vinci

martedì 28 maggio 2013

FINO A QUANDO?

In margine alle ultime votazioni.
 

Quanto sospettavo da lungo tempo, ove occorresse una conferma, lo trovo confermato dal risultato delle ultime votazioni: togliendo la percentuale del Movimento 5 Stelle e quella di alcune rare liste civiche del terzo tipo, cioé quelle vere, rimane una squallido 40% circa di votanti.
 

    E’ la minoranza formata dai parassiti dislocati nei partiti e in tutte le camarille statali, parastatali & affini; minoranza che riesce a perpetuare il suo strapotere tirannico su uno Stato ridotto a un infame marchingegno, studiato e realizzato per estrarre quattrini dalle tasche dei Produttori di Ricchezza; che son tutti i Lavoratori dipendenti e indipendenti, i soli produttori di ricchezza; lo Stato,  è risaputo, con tutti i suoi carrozzoni, non possiede altro che ciò che sottrae ai lavoratori.
 

    Va da sé che ogni Stato, salvo rare eccezioni, ha le caratteristiche del nostro marchingegno; ma, perbacco, c’è un limite a tutto; ma non a questo nostro infernale rapinatore insaziabile. Basti pensare che si paga l‘87,25 % di tasse sul metano e circa il 70% sulla benzina (oh! sì, c’è da comprare un fottìo di F35 per 10 mld, da rimpolpare con 4 mld il Monte dei Paschi saccheggiato dai compagni di turno, e tante altre bazzecole del genere). Bastano questi due dati per affossare ogni speranza di ripresa economica.
 

   Va anche da sé che i Produttori di Ricchezza, politicamente fessi, ma così fessi da far pena, si son fatti turlupinare dal dopo guerra (e da prima) fino agli anni 80, con tanta di quella vasellina da ritenere stolidamente di potersi autogiustificare. Ma, dopo, la sodomizzazione è proseguita senza nemmen lo spreco di qualche vasetto di vasellina, da parte di dette camarille statali parastali & affini, cui si sono aggiunte, ben felici di partecipare all’abbuffata, le camarille continentali dal FMI alla UE con tutte le loro malefiche creature infami, bancarie e d’altro genere. E i Produttori di Ricchezza? Han continuato a calare le brache senza nemmeno un bercio o una bestemmia...
   

    Pare che questa volta abbiano deciso di non avallare, con l’astensione dal voto, l’elezione di politicanti peraltro soli responsabili dello sfacelo in cui ci hanno precipitato. Una timida reazione? Un belato? Tutto qui? C'è bisogno di ben altro!
 
    Fino a quando accetteranno di sopportare la tirannia? Fino a quando?      

P.S. Ceterum censeo italiam delendam est

FRANCESCO BURLAMACCHI

FRANCESCO BURLAMACCHI

Un martire lucchese

Il primo a proporre uno Stato di Comuni confederati per sottrarre la Toscana al dominio mediceo e in prospettiva per gettare le basi di una confederazione toscana di tipo elvetico.

Il primo, unico e ultimo tentativo, a sud delle Alpi, di realizzare un modello federale di Stato, lo si deve a un lucchese: Francesco Burlamacchi. Egli si proponeva di contrapporre una confederazione di libere città (Lucca, Pisa, Siena e Firenze) alle mire egemoniche dei Medici, elevati al rango di duchi grazie alla connivenza d’ un parente papa, e che aspiravano al ruolo di tiranni toscani.
    Non ci riuscì il Burlamacchi, e per questo perse letteralmente la testa; ma ciò non toglie che la sua figura grandeggi per come preparò il tentativo ma soprattutto per come affrontò il martirio, tanto da poterlo definire la figura più nobile della storia di Lucca, e della Toscana.
    Francesco Burlamacchi era nato a Lucca nel 1498 nella sua casa all’ angolo tra la via S. Paolino e l’ attuale via Burlamacchi, che allora si chiamava S. Romano. Suo precettore fu lo zio Filippo Burlamacchi, seguace di quel fra’ Savonarola messo a morte e abbruciato proprio nel 1498 a Firenze. Filippo, tornato a Lucca in quell’ anno, indossò l’ abito domenicano e fu ordinato sacerdote tre anni dopo col nome di fra’ Pacifico.
    Gli insegnamenti di fra’ Pacifico segnarono profondamente la coscienza politica e religiosa di Francesco. In quei tempi a Lucca si ammiccava con favore alla Riforma luterana, e i mercanti lucchesi non commerciavano solo sete e lane, ma anche libri. E la Serenissima fu molto tollerante nei confonti dell’eresia; infatti a Lucca non fu mai istituito il Tribunale dell’ Inquisizione sotto giurisdizione ecclesiastica né mai vi entrarono i Gesuiti.
    Anche i Burlamacchi ammiccavano, ma non si può affermare che avessero abbandonato la fede cattolica; anzi. Francesco semmai ebbe le stesse esigenze dei riformati che lo portavano a vivere più interiormente la propria religiosità, sfrondandola di inutili ammennicoli esteriori, e pensava che l’ unità religosa potesse essere mantenuta e consolidata se il Papato avesse rinunciato a ogni interesse temporale.
    Laico sul piano politico, credente convinto sul piano religioso. Geloso come era, e come lo era la Serenissima, della libertà non chiacchierata ma vissuta, non poteva che essere antipapale e anti-mediceo.
    Probabilmente concepì il progetto confederale verso il 1543, quando, eletto Commissario delle Milizie di Campagna, dedicò molto tempo al loro riordinamento e alla costituzione delle Ordinanze di Montagna.
    [Volutamente si usano termini come disegno o progetto federale o confederale, invece di quello riduttivo di congiura con cui si tenta di minimizzare l’ evento, per render giustizia a un piano di ampio respiro, lucido e generoso, ardito quanto si vuole, ma non astratto: un Gonfaloniere di Giustizia non poteva essere uno sprovveduto..!
Per contro, in una scritta sotto il monumento dedicatogli in piazza S. Michele, si enfatizza l’ opera sua stravolgendone però il significato nel goffo tentativo di piegarlo a mere esigenze politiche del momento (1859), che peraltro andavano in senso diametralmente opposto al disegno del Burlamacchi, verso cioé quel centralismo che troverà la sua piena realizzazione nel regno prima, nel fascismo poi e infine nella repubblica fondata su 7 colli fatali 7. NdR]
    Nel 1546 vari fattori quali: la dimestichezza con le Milizie lucchesi, la sua carica di Gonfaloniere, i confini della Repubblica minacciati dalle mire espansonistiche di Cosimo I, duca di fresca nomina papale, le continue irritanti provocazioni da parte degli armigeri ducali a Colle di Compito, Camaiore e Barga, la nomina del lucchese Vincenzo Di Poggio a Capitano delle guardie di Pisa (dal 1509 in mano al duca) che aderì al progetto, l’ insofferenza mai sopita dei Pisani verso la tirannia ducale, le gravi preoccupazioni di Siena che ormai si sentiva prossima vittima dell’appetito mediceo (cadrà infatti nel 1555 in un bagno di sangue), la notoria riottosità delle genti del Valdarno, della Val di Nievole e della montagna pistoiese, la disponibilità dei repubblicani fiorentini con in testa la famiglia degli Strozzi; fattori tutti favorevoli al disegno del Burlamacchi, fecero sì che questi si risolvesse di passare alla fase esecutiva nel mese di agosto.
    Ma dietro a molti martiri si staglia spesso la figura del traditore: fu un certo Andrea Pezzini a tradire una causa infinitamente più grande di lui, per meschina vendetta e vile ricompensa. Il traditore avvertì Cosimo di quanto si stava preparando e il duca papale, in quel tempo tirapiedi di Carlo V e in grado di chiedere l’ intervento dell’ imperatore a propria difesa, non perse tempo; fece di tutto per farsi consegnare il Burlamacchi e coinvolgere la Serenissima per creare un casus belli. Ma la Repubblica lucchese seppe disinnescare il casus grazie alla propria diplomazia, sempre di prim’ ordine, ma soprattutto grazie al sacrificio di Francesco, che affrontò per ben tre volte la tortura e poi la morte piuttosto che rivelare nomi di amici o coinvolgere la Repubblica stessa.
    Nel primo interrogatorio dopo l’arresto, rivolto agli Anziani, tra l’ altro affermò: “e inoltre lecto che la Toscana antichissimamente è stata in quella unione che io intendevo fare, fusse cosa avesse a tornare in gran benefizio della città delle Magnifiche Signorie Vostre, e conseguentemente della Toscana”. E’ questo, in estrema sintesi, il Suo testamento politico.
    Il resto fu un braccio di ferro fra Cosimo I e la Repubblica di Lucca: il primo nel pretendere la consegna di Francesco, la seconda nel voler lo stesso piuttosto morto che in mano al duca. Ferrante Gonzaga, altro tirapiedi dell’ Imperatore e che teneva prigioniero il Burlamacchi a Milano, ricordava a Carlo V che i Lucchesi avrebbero dato non solo la vita di un proprio cittadino, ma la loro stessa vita, prima di riconoscere al duca autorità di grazia o giustizia per fatti accaduti nella loro Repubblica.
    Infatti nel febbraio 1547 giunse a Milano l’ordine imperiale di condanna a morte dopo estenuanti interrogatori e strazianti torture.
    Dopo alcuni mesi di vani tentativi di sottrarlo al boia, visto che anche la grazia doveva passare per il tiranno fiorentino, anche la famiglia, dopo la Repubblica, si rassegnò alla morte di Francesco. Che avvenne per decapitazione il 14 febbraio 1548 nel Castello Sforzesco di Milano.

Epitaffio tombale alla Chiesa di San Romano in Lucca

      ANCHE DA QUESTA TOMBA
  DOVE LA MADRE SUA E UN FIGLIO RIPOSANO
CHIEDE INVANO DI RIPOSARE
SIA GLORIA A FRANCESCO BURLAMACCHI
LUCCHESE
CHE CONTRO OGNI TIRANNIDE
MEDITO’ E PREPARAVA LA LIBERTA’
DELLA FEDERAZIONE DELLE TOSCANE REPUBBLICHE
E PER QUEL SOGNO GENEROSO
PERI’ DECAPITATO IL 14 FEBBRAIO 1548
MENTRE VAGHEGGIAVA ROMA (1)
RESTITUITA ALLA CIVILTA’ DELL’ IMPERO

1 - Beh! nessuno è perfetto... Anche il Burlamacchi era rimasto irretito nei bettabelli delle fole latino-romanesche...

mercoledì 22 maggio 2013

IL GONFALONE TOSCANO

IL GONFALONE DELLA TOSCANA

Evviva il gonfalone della Toscana !!!!! .... anzi No

L'attuale gonfalone della Regione Toscana, patetico tentativo di riassumere in una bandiera sia i colori della Regione, sia un evento storico di mero cambiamento di regime dal fascismo all’anti-fascismo (così, come diceva Longanesi, di fascismi ne abbiamo due), lasciando intatta la struttura dello stato, evoca un enorme canovaccio da cucina con le sue brave banda laterali, rosse, in questo caso, senza alcun rispetto per le  regole dell'araldica. Infatti, al centro del gonfalone, campeggia un cavallino rampante di uno smorto color grigio, l’ unico colore che in araldica non esiste.
    Col rispetto dovuto ai ricordi della Resistenza toscana, non può un cavalluccio alato diventare il simbolo della Toscana - e quando mai un pegaso, sia pure metaforicamente o mitologicamente, ha bazzicato da queste parti? - . Per di più si è voluto strafare col grigio.
    Di più. Ma da dove è venuto quel cavallino? Davvero non lo riconoscete? Siete troppo giovani, beati voi, per ricordarlo: è il cavallino della Mobil Oil Company, un tempo presente su tante pompe di benzina! Ma si è proprio lui, rinvenuto nel 1944 in forma di clichè in una tipografia fiorentina, facile da usare per il suo disegno a tratto e usato, in mancanza d’altro e di un po’ di fantasia, dal C.L.N. fiorentino a far da mosca cocchiera a una Toscana in vena di novità, dopo che gli Americani avevano fatto il resto.

Ultimamente, da qualche parte, si è tirato fuori un pegaso di Benvenuto Cellini: mah! un tardivo infelice tentativo di mettere una pezza a una scelta faziosa e supponente, niente di più.

E come non notare l'insidia nascosta nel cavallino? Un emblema dell'odiato capitalismo petrolifero guerrafondaio, innalzato a emblema di una regione in fregola di cambiare in fretta la camicia, quella nera ormai demodé, in quella rossa di una rivoluzione ben più remunerativa, almeno in Toscana, nel segno del sol dell'avvenir, luminosamente stalinista.....
    Ma non ci si è fermati al gonfalone; senza alcun rispetto per le autonomie locali, si ordina a tutti i Comuni della Regione di fregiare i mezzi delle varie Polizie Municipali col cavallino alato della Mobil Oil Co., sempre di grigio smorto in campo rosa.
    Avete mai sentito di qualche Comune che si sia ribellato a questa inutile ed uniformante ordinanza? No!! Se un Sindaco è Sindaco, lo sa lui perché. Come può una volta insediato dire di no “alli Superiori"? Sarà costretto ad allinearsi su ogni argomento, ignorando completamente le scelte che potrebbero rappresentare un interesse per le comunità che rappresentano.

Rimane da spiegare il movente di tale ordinanza. La risposta che ci viene spontaneo ipotizzare è quella di una volontà di sradicare, perfino all’interno della regione, ogni possibile traccia di campanilismo da ogni Comune e da ogni comunità, un chiaro intento di appiattire ogni differenza cittadina, un ulteriore tentativo di eliminare culture e memorie storiche che potrebbero instillare conati di libertà con conseguenti tentazioni del "fai da te", e chi fa da sé fa per tre, appiattendole in un limbo di ignoranza e di cultura del nulla.
    Per quanto detto finora, questo canovaccio, nella sua miseria di simboli e di fantasia, non può certo rappresentare una Regione come la nostra, la cui storia spazia dai Longobardi ai giorni nostri, con illustri precedenti celti ed etruschi cancellati dalla dominazione romanesca.
    Pertanto facciamo voti affinché si esca al più presto dalla legalità di questo Gonfalone  e si rientri nella legittimità della Storia della nostra terra e della nostra gente, che si mette in cammino come Toscana, con Ugo di Tuscia alla fine del X secolo, dopo oltre quattro secoli di incubazione longobarda e franca.
    Ed è proprio la bandiera tratta dall’arma di Ugo il Grande, tre pali d’argento (bianco) in campo di rosso, che volti a bandiera diventano quattro fasce di rosso alternato a tre fasce di bianco, che dovrebbe a buon diritto rappresentare la nostra Nazione Toscana.

V.Gai- R.Redini

SPERANZA IN UN FUTURO MIGLIORE?

Titalic & Rubrica silenziosa 8 Maggio 2013 - da L’INDIPENDENZA.it, quotidiano on line.



Speranza in un futuro migliore?
Indice crollato del 40% in un anno




di REDAZIONE



Diminuisce la speranza degli italiani in un futuro migliore: in un anno, dal 2012 al 2013, l’indice di speranza si e’ abbassato del 40%. Allo stesso tempo il 93% dei cittadini chiede aiuto alle istituzioni, affinche’ la alimentino. E’ quanto emerge da un sondaggio condotto dall’Istituto Piepoli, che sara’ presentato durante il seminario ”Oltre la crisi: comunicare la speranza” in programma domani all’Universita’ Roma Tre. I dati rilevano che a oggi il 51% dei cittadini ha meno speranza nel futuro rispetto all’anno scorso. Solo l’11% dice di averne di piu’. L’86% (il 73% nel 2012) ritiene che la comunicazione giochi un ruolo strategico per la ripresa dalla crisi e l’89% (87% nel 2012) auspica che la pubblica amministrazione possa essere piu’ trasparente nel presentare i suoi servizi ai cittadini. ”In sintesi – si legge in una nota – c’e’ una fortissima domanda di comunicazione della speranza, che si traduca pero’ in annunci cui facciano seguito provvedimenti concreti”. Dal sondaggio emerge infine che le parole chiave necessarie ad alimentare un’autentica comunicazione della speranza sono, nell’ordine: lavoro (48%), innovazione (27%), tecnologia (20%) e investimenti (14%).

Nota in calce del responsabile del blog.
 

Presi in una tragica spirale di furti, rapine, malversazioni e parassitismo spinto all’eccesso, non c’è altra via che dar corso a una Costituente per uscire dalla maledetta spirale e ricontrattare le condizioni di appartenenza a un paese civile.

    Per esempio, partendo da certe considerazioni di base come queste:
    Il federalismo è la migliore forma di organizzazione statale, finché qualcuno non venga a dimostrare il contrario.
    Ma il federalismo è secondario alla libertà e alla democrazia. Senza libertà non esistono uomini liberi, e i contratti da stipulare per federarsi, per essere validi e legittimi, richiedono uomini liberi, di contrattare, di stipulare. 
    Le decisioni poi, da prendere per stipulare contratti federativi, devono essere prese col metodo democratico (una testa un voto) in tutta libertà. Forse non è il metodo migliore in assoluto, ma tutti gli altri metodi sono peggiori, finché qualcuno non venga a dimostrare il contrario.
    Lapalissiano... Tanto lapalissiano che nessuno, dopo 150 anni d’italia, ha mai proposto una costituente libera e democratica per stendere una Costituzione basata non su crêdi religiosi e su ideologie o altro, ma solo sul buon senso e sul rispetto.
    Ovviamente i rappresentanti del Popolo, chiamati a stendere la nuova Costituzione, saranno eletti a suffragio universale col metodo proporzionale puro, senza interferenze o diktat dei mammasantissima partitocratici. Chiunque sarà libero di candidarsi per far parte della Costituente.
     Il Contratto (costituzione) che uscirà dalla Costituente infine, sarà sottoposto all’approvazione del Popolo mediante referendum senza quorum, non semplicemente firmata da qualche capoccia autoreferenziato di qualche associazione qualsiasi.
     Ove non sia approvata, si ricomincia daccapo.


Memento: 

"Chi nella vita crede di procedere senza le sacre leggi della logica e della matematica, si pasce di confusione."                                                                              Leonardo da Vinci

"Con il consenso della gente si può fare di tutto, cambiare i governi, sostituire la bandiera, unirsi a un altro paese, formarne uno nuovo".                                            Gianfranco Miglio                  

lunedì 20 maggio 2013

La Civiltà Comunale

Mauro Aurigi
LA CIVILTÀ COMUNALE

Stralci a cura di rredini

Parte seconda

   E le signorie cosiddette rinascimentali non segnano il culmine di quell’ eccezionale periodo, ma l’inizio della sua fine.  Anzi, trattandosi di autentiche tirannie che hanno prima posto termine alla libertà comunale e poi favorito l’ avvento della dominazione spagnola, della Controriforma e dell’ Inquisizione (e quindi del drastico rafforzamento della struttura verticale della società italiana), esse sono responsabili non solo della fine del Rinascimento, ma anche del successivo declino economico, culturale e artistico dell’  intero Paese rispetto all’ Europa del centro nord.
 
    Pochi hanno saputo rappresentare così bene il passaggio dalla libertas repubblicana al regime  delle  signorie  come  Maurizio  Viròli, del cui breve ma lucido trattato (v. bibliografia) vogliamo qui dare un’ estrema sintesi. 
 
    “In epoca comunale la politica, considerata la disciplina più nobile d’ogni altra, era così definita: arte di gestire una società di uomini liberi sottomessi solamente alle leggi che essi stessi si danno. Tanto era cogente tale significato che il Machiavelli, a scanso di equivoci, non poté usare mai il termine “politica” ne Il Principe. Era il momento della transizione dalla Repubblica fiorentina allo Stato mediceo e la politica era ormai stata sostituita dalla ragion di stato, ossia dall’ arte di conservare e accrescere uno stato ad opera di uno o di pochi nel proprio esclusivo interesse, con l’ occupazione delle istituzioni, la cacciata e la persecuzione della parte avversa a favore delle proprie clientele, l’ oppressione dei popoli e la soppressione delle loro autonomie. Per cui il Machiavelli, se avesse fatto ricorso al termine politica, che atteneva ad una società di cittadini, rischiava di non essere capito. Tra quel termine e la ragion di stato, che atteneva invece ad una società di sudditi, c’ era infatti la stessa assoluta antinomia che corre tra repubblica e signoria, tra democrazia e tirannia. Se la politica era la scienza più nobile dell’uomo, con la ragion di stato si tenterà di giustificare ogni nefandezza. Quelle medesime azioni che la politica repubblicana condannava, come ad esempio distribuire onori e denari pubblici agli amici o eliminare gli avversari con mezzi illeciti, diventarono per la ragion di stato signorile, scusabili o addirittura meritevoli di lode. Proprio nelle corti rinascimentali italiane e  per  la  prima  volta nella storia, la viltà, l’ adulazione, il tradimento, la congiura e il crimine assumono caratteri positivi se finalizzati alla conservazione e accrescimento dello stato.”
  
    La Penisola non si scrollerà più di dosso, anche nell’opinione internazionale, il marchio infamante di una politica caratterizzata da cinismo, ipocrisia, ambiguità, opportunismo e trasformismo (per non parlare della corruzione) (25). Anzi, ha resistito fino ai giorni nostri quella qualifica di sporca che proprio dall’ epoca delle signorie la saggezza popolare ha indelebilmente legato al termine politica.

25 - Durante le vicende di Tangentopoli Craxi, novello aspirante principe, tentò di sostenere la liceità delle tangenti davanti al Parlamento in quanto necessarie al sostentamento dei partiti, a loro volta necessari alla vita democratica nazionale (la ragion di stato!). 

30 - Per essere chiari: nella Siena comunale gli Agnelli e i Berlusconi avrebbero sì avuto libertà di arricchirsi, ma non quella di fare le leggi o di governare direttamente o indirettamente lo Stato.


    Commentatori “italiani” attuali, non paghi di guardare con sufficienza alla civiltà comunale italiana, non si peritano di presentarci le signorie   rinascimentali sotto una luce positiva, attribuendo loro il primato e lo splendore della cultura e dell’arte italiana del periodo, che invece furono frutto esclusivo della libertà comunale. A chi scrive non risulta alcuna annotazione da parte “italiana” - circostanza ben strana considerato che viviamo in un periodo di assai conclamata democrazia - che quelle furono in realtà tirannie personali e dinastiche, come invece denunciano con chiarezza gli studiosi di scuola anglosassone (39).
 
39 - Per quello che consta allo scrivente fanno eccezione Mario Ascheri dell’ Università di Siena (è senese e non può non vedere nei Medici dei tiranni liberticidi) e Maurizio Viroli che però gravita su università anglosassoni.

    Quella dei Medici fu la signoria per eccellenza. Investì talmente tanto nella propriaimmagine (neanche Mussolini affisse tanti fasci sui muri quante palle i Medici), mantenendo, come tutti i tiranni, una vasta corte di intellettuali e artisti prezzolati e asserviti, che ancora oggi Firenze, e la Toscana, sono intese come una loro creatura (40).

40 - Quell’ investimento nell’ immagine - oggi, con una buona dose d’ ipocrisia, definito mecenatismo –  fu così efficace e si è così profondamente radicato nell’ immaginario collettivo che ancora qualche anno fa il regista Zeffirelli, sostenendo che i Medici fossero i padri fondatori della Toscana, condusse un’ isterica campagna affinché la Regione adottasse come proprio stemma quello dei Palleschi. 

    Si è così invertita la causa con l’effetto: oggi ci si è convinti che siano stati i Medici a fare la civiltà fiorentina (e toscana), non viceversa. Invece Firenze (e la Toscana) nulla deve alla dinastia medicea (se non la propria decadenza), poiché tutto quello per cui va famosa è esclusivamente frutto del precedente regime repubblicano; mentre la famiglia Medici deve tutto alla ricchezza economica, culturale e artistica della Firenze (e della Toscana) repubblicana. Fu estremamente facile a Lorenzo il Magnifico e a Cosimo I (e poi anche ai tanto “illuminati” Lorena) fare bella figura.

    Nè è da sottacere il sistema con cui i Medici si impossessarono del potere, e sul quale la storiografia ufficiale ha ignobilmente steso un pietoso e peloso velo. La piccola ma florida Volterra, per non rinunciare alla propria indipendenza, fu investita nel 1472 da un potente esercito mercenario al soldo di Lorenzo il Magnifico e dopo un duro assedio selvaggiamente saccheggiata e la popolazione brutalizzata (42).

42 - La ferita fu tanto profonda che non si è ancora rimarginata. All’annuncio, nel 1992 (!), che la Regione Toscana e il Comune di Firenze avrebbero solennemente celebrato il cinquecentenario della morte di Lorenzo de’ Medici, il Vescovo di Volterra si vide costretto a una secca e chiarissima sottolineatura di ciò che quel magnifico signore aveva significato per la città.
 
    Quanto alto fosse il prezzo pagato dai Toscani a quella dominazione lo chiarisce nel 1516 Lodovico Alemanni, intellettuale al soldo della corte, così come ricordato da Federico Chabod: 

    «Il sistema sicuro, per “guadagnarsi et ubligarsi tanti cittadini che bastino” a mantenere lo Stato ai Medici, era quello di curare i giovani perché ai vecchi non gli si sarebbe “mai cavata quella fantasia”, ma i vecchi sono savi e dai savi non v’è mai da temere. Bisognava invece che i giovani rinunziassero alla repubblica e facessero “professione all’ ordine suo”, bisognava far loro abbandonare gli antichi costumi, divezzarli dall’antica “civiltà” tutta improntata ai sensi repubblicani, distoglierli da quella “asineria più presto che libertà”, per cui i Fiorentini disdegnavano “fare reverentia a qualunche” ed erano “tanto alieni da’ modi della corte che io credo pochi altri”. Per cui bisognava abituare i giovani “alli costumi cortesani”, così una generazione dopo l’altra, tutte di giovani “allevati” a quella scuola, “ne nascerà che nella città nostra non si saprà vivere senza un principe che l’ intractenga dove ora pare tucto il contrario”»

[Inciso - Ed è con le stesso sistema che sono stati fatti gli italiani, in una scala un po' più grande. NdR.]
 
• Dello stesso Autore: IL PALIO (o della libertà), Il Torchio, Monteriggioni (SI) 2006.

Bibliografia essenziale:

Rudolf von Albertini: Firenze dalla repubblica al principato, Einaudi Ed., Torino 1995
Mario Ascheri: Dedicato a Siena, Il Leccio, Siena 1989
Mario Ascheri: Il Rinascimento a Siena, Nuova Italia Immagine, Siena 1993
Mario Ascheri: Siena nella storia, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2000
Mario Ascheri: Un contratto per Siena in Vita in Villa nel Senese  a cura di L. Bonelli, E. Pacini, Pacini Ed, Pisa 2000
C. Barberis, G. Dell’Angelo (a cura di): Italia Rurale,  Laterza, Bari 1988
Leonardo Benevolo: La città nella storia d’Europa, Editori Laterza, Bari 1993
Marc Bloch: La société féodale, Albin Michel, Paris 1939 e 1983 (edizione italiana: Giulio Einaudi Ed.,Torino 1949 e 1987)
William M. Bowsky: A Medieval Italian Commune, University of California Press,1981 (ed. it.: Il Mulino 1986)
Enrico Castelnuovo (a cura di): Ambrogio Lorenzetti, Il Buon Governo, Electa
Norberto Catelani: in Federalismo e Libertà n.5-6 del 1999,  Ed. Il Fenicottero, Bologna
G. Contini, M. C. Gozzoli: Simone Martini, Rizzoli Editore, Milano 1970
Frederic C. Lane: Venezia. A Maritime Republic, The John Hopkins Univers. Press, 1973 (ed.it: G.Einaudi Ed, Torino 1991)
Iris Origo: Il mercante di Prato, RCS Libri Spa, Milano 1997
Robert D. Putnam: Making Democracy Work, Princeton University Press 1993 (ed. it. A. Mondadori, 1993)
Quentin Skinner: The Foundations of Modern Political Thought, Cambridge Univers Press,1978(ed.italiana: Il Mulino, 1993)
Mauro Vaiani: Noi stessi, Nuova Toscana Ed., Campi Bisenzio (FI) 1998
Maurizio Viròli: From Politics to State Reason, Princeton University Press,1993 (ed.it.: Donzelli Editore 1994)

Rivoluzione solo dai Comuni

 Sotto inchiesta 8 Maggio 2013 da L'INDIPENDENZA.it, quotidiano on line.



di GIORGIO BARGNA
Da qualche settimana stiamo vivendo, sulla nostra pelle, il “Monti-bis”; più scaltro, meglio nascosto, ma sodomizzante allo stesso livello dell’originale. Frequentazioni da strada, bar e lavoro mi riportano le lamentele dell’ita(g)liano che esclama “piove, governo ladro”! Le lamentele degli stessi che pensavano di cambiare lo stato delle cose andando al voto. Cosa volete italianucci del menga?
Vi siete presentati ancora davanti alla “tosa” per dare lustro a chi aveva bisogno, ancora una volta, di voi per restare ancorato al potere ed alle confortevoli posizioni di vantaggio personale e di casta, personaggi sempre pronti a prostrarsi ai padroni Usa e Ue, siete voi i responsabili di quanto sembra arrecarvi un disturbo immenso. Vi siete ancora una volta divisi tra destrorsi e mancini, ancora una volta avete tracciato una bella “icchisse” sul papiro elettorale sperando che la vostra squadra preferita sbancasse il piatto… ancora non avete capito che in questo “casinò” i croupiers  truccano le partite.
Mi chiedo se siete un pochino fessi o se siete concordi; mi rispondo che la fesseria ha un limite e che quindi a questo punto siete correi, vittime (probabilmente, spero) di un bel lavaggio di cervello, ma sicuramente abituati a pensare che le sorti del paese non siano affari, direttamente, vostri, ma cosa di competenza altrui. Ma scriveva, un pochino di tempo fa, Thomas Jefferson: ‘Se un popolo crede di poter essere libero e disinteressarsi della politica, immagina qualcosa che non è mai stato né mai sarà”.
Finchè continuerete ad avvalorare questa classe dirigente continuerete a essere (oltretutto un po’ fuori tempo) fascisti e comunisti, democristiani e liberali (che poi son tutti quanti statalisti dediti allo sfruttamento razionale dei lavoratori, i soli produttori di ricchezza), ma soprattutto i peggiori nemici di voi stessi. I cambiamenti passano non attraverso le idee che vi calano dall’alto, da lontano, ma attraverso i movimenti, le idee, le svolte che si sviluppano e radicano sul territorio, ettaro per ettaro, cittadino per cittadino.
Non partiranno da Roma svolte e rinnovamenti, ma solo da centinaia di Comuni governati da movimenti politico-culturali svincolati dai partiti nazionali e composti dai cittadini. Un’altra “tosa” o la svolta dipendono solo da voi “partigiani del vuoto”.
(P.S. E la rivoluzione si svilupperà nella misura e nell'intensità in cui si sarà sviluppata la partecipazione, quella vera, non quella parolaia pilotata dai capi-partito e dai capi-bastone di turno. NdR)

venerdì 17 maggio 2013

Mauro Aurigi

LA CIVILTÀ COMUNALE

Stralci, e qualche nota, a cura di rredini

Parte prima

Antefatto - Nel 1143, Otto von Freising, l’arcivescovo studioso Ottone di Frisinga, zio del Barbarossa, scopre allibito che in totale contrasto col pensiero unico mondiale, per cui non era possibile nessuna forma di società in assenza di una monarchia ereditaria (e consacrata dal Papa!), nell’Italia (0) del centro-nord i cittadini si governano invece da soli. Inconcepibile!! Chi erano, questi alieni?!
 
0 - [Sarà bene distinguer subito un’ Italia geografica, come la intendeva von Metternich*, e un’ “Italia” statale, come certo Savoia Vittorio Emanuele (di Carlo Alberto e di Maria Teresa d’Austria-Lorena, nato nel 1820 a Torino e ivi residente in piazza Castello) la intese dal 1861 con tutti i suoi servi, coscienti e incoscienti; e come, purtroppo, la continuano a intendere tuttora i suoi discendenti, i servi dei suoi discendenti, e i discendenti dei suoi servi. Per cui, se non metti le virgolette alla prima, geografica, è giocoforza metterle alla seconda, statale, per tenerle ben distinte, e non confonderle come si fa arbitrariamente e abusivamente, appunto, dal 1861- ndr]

[*‘La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle, e che è piena di pericoli per la esistenza stessa degli Stati di cui la penisola si compone'        Klemens Wenzel Lothar von Metternich-Winneburg (1773-1859)]

 
    Vi è un enorme divario tra gli studiosi anglosassoni e quelli “italiani” a proposito di un periodo della nostra storia, quello comunale; che fu cruciale, secondo gli anglo-sassoni, per lo sviluppo successivo del pensiero politico dell’Occidente (e quindi del mondo), e trascurabile o addirittura negativo secondo gli “italiani” per la discutibile evoluzione della nostra società nei periodi successivi. Così gli anglosassoni vedono nello sviluppo del pensiero politico italiano dell’ epoca (l’ Umanesimo) l’ indiretta origine del repubblicanesimo puritano del XVII secolo e quindi dell’ attuale loro primato culturale ed economico nel mondo(1).
 
1 - Washington e Jefferson per realizzare il nuovo stato repubblicano dovettero, per es., guardare anche all’ unica grande repubblica sopravvissuta al mondo: quella di Venezia. [L’ altra, più piccola, era quella di Lucca. Genova invece aveva dovuto soccombere da pochi anni alla tracotanza sabauda; né valse la memoria della rivolta di Balilla del 1746, né la rivolta del 1849, per scrollarsi di dosso l’ odiata tirannia dei Savoia - ndr]
 
    Invece gli “italiani” fanno risalire a quel periodo, caratterizzato dal frazionamento territoriale e dalla conflittualità politica, le ragioni del nostro ritardato sviluppo nei confronti dell’Occidente avanzato e della gracilità del nostro sentimento nazionale (2).
 
2 - Carlo Carlucci, in un articolo del marzo 2001, Viva l’ “Italia”, dice “..la rinascita delle città-stato in Italia [una volta rimossa la pressione dell’impero romano] fu fatale all’ unificazione di questo paese” [Non dice però chi mai avesse ordinato, a quale titolo, con quale diritto, e perché, l’ unificazione di “questo paese”.  ndr]
 
    E’ un fatto incontrovertibile che c’ è più sviluppo, senso civico e sentimento nazionale nel Nord-“Italia” che visse l’esperienza comunale, piuttosto che al Sud, dove non solo mancò quell’ esperienza, ma vi era stato proprio il contrario, la  corposa  esistenza di due stati solidamente unitari e assolutamente accentrati, tra i più antichi e famosi del mondo: lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli o delle Due Sicilie.
    Non si capisce, o non si vuole capire, o non si vuole far capire, come la civiltà comunale sia ancora l’unica responsabile dell’odierno maggiore sviluppo, non solo economico ma anche civile, del Nord-“Italia” rispetto al Meridione.
    Fatto sta che fin dagli albori della storia e per 10.000 anni, la società dell’uomo si era organizzata sulla base di due pilastri fondamentali: il monopolio del potere politico dell’ aristocrazia su tutte le altre classi sociali da una parte, e la condizione servile del resto della popolazione dall’ altra. E’ con i Comuni italiani (toscani per primi) che quell’ ordine viene scardinato fin nel profondo: da allora, progressivamente, la società dell’uomo non sarà più la stessa. Sono i liberi Comuni infatti che, per la prima volta in quei 10.000 anni, aboliscono il privilegio divino di gestire la comunità, goduto da sempre da re, papi e imperatori e dalla casta nobile dei sacerdoti e militari (7). E contemporaneamente è sempre nei Comuni che per la prima volta (e mille anni dopo l’ avvento del Cristianesimo!) viene abolita la schiavitù!
 
7 - E’ nel 1300 comunale italiano che viene coniata la locuzione sovranità popolare (Bartolo da Sassoferrato e Marsilio da Padova).
 
E’ da allora che data l’inizio del pensiero politico occidentale, quello fondato su libertas, iustitia ed aequalitas (10) : culturalmente  non c’ era mai e non c’ è più stata (e forse non ci sarà mai più) una frattura altrettanto netta col passato.
 
10 - All’ uguaglianza e alla giustizia ovviamente non si giunse mai [la perfezione non è di questo mondo - ndr] ma vi si tese sinceramente. Il Commines, viaggiatore e diplomatico francese del 1400, riporta scandalizzato come a Venezia l’offesa del nobile al plebeo fosse punita alla stessa stregua di quella del plebeo al nobile. A Siena si obbligava la corporazione degli avvocati a garantire ai poveri l’assistenza legale gratuita davanti al tribunale, e quella dei docenti universitari a tenere corsi agli analfabeti. Sempre a Siena nel 1309-1310, con eccezionale precocità veniva tradotto dal latino al volgare ed esposto al pubblico il corpo delle leggi (il Costituto) per facilitarne l’accesso a le povere persone e le altre persone che non sanno gramatica. [A Lucca il Consiglio del Popolo delibererà più tardi (1539) che a publico bene, le sue Municipali Leggi (..) nella volgare e nativa toscana lingua tradotte siano - ndr]

 11 - Non si capisce quindi perché si continui a considerare il feudalesimo e la civiltà comunale appartenenti allo stesso evo: il Medio.

 
    Più semplicemente: senza l’abolizione allora del potere aristocratico e dello stato servile, non ci sarebbe oggi la civiltà occidentale o, meglio, essa non si distinguerebbe da quelle che l’ hanno preceduta e da quelle che occidentali non sono.
    Ma è sul piano economico che la civiltà comunale ha effetti ancor più dirompenti. L’ abolizione dei privilegi politici della nobiltà d’ origine feudale e l’affrancamento dalla schiavitù delle fasce più basse della popolazione, favorisce l’edificazione, contro la società verticale (gerarchica) del feudalesimo, di una società organizzata orizzontalmente per gilde, corporazioni, confraternite, contrade, società religiose laicali, compagnie militari, rionali ecc., da cui scaturisce il modo nuovo, non gerarchico, di governare la comunità.
    E’ da questo humus particolarissimo e straordinario della società orizzontale e dell’ anonimato politico (mai una società simile si era vista fino ad allora sulla faccia della terra) che, quale complemento del rispetto e della solidarietà verso il prossimo, nasce nei rapporti interpersonali un sentimento che mai le comunità dell’ uomo avevano conosciuto: la fiducia tra estranei (12).
 
12 - Fino a quel momento e da sempre il rapporto di fiducia era circoscritto a due ambiti aventi carattere strettamente verticale: quello familiare e quello politico-clientelare (come nel sistema feudale o mafioso o autocratico).
 
    La fiducia tra estranei, per la prima volta nella storia, consente al risparmiatore di affidare i propri risparmi al banchiere e a questi di prestarli al mercante (invenzione della banca e dell’ accomandita). Risulterà decuplicata rispetto al resto del mondo, la capacità di fare impresa, manifatturiera commerciale e finanziaria, con conseguente aumento della ricchezza e del potere politico.
    Sono questi i motivi per cui alcuni studiosi anglosassoni trovano l’ inizio di quell’era paragonabile solo alla scoperta dell’ agricoltura quasi 10.000 anni prima e alla rivoluzione industriale quasi 1000 anni dopo.
    In sostanza, già nell’ XI secolo, la borghesia nord-italiana finalmente giunta al potere (in Francia e in America dovrà aspettare il secolo dei lumi, altrove dovrà aspettare molto di più o non c’è ancora riuscita) comincia a restituire un valore al termine libertas (15).
 
15 - Secondo lo Zingarelli il termine italiano libertà viene usato la prima volta nel 1319. Mario Ascheri dell’ Università di Siena individua in Libertas, Honor Civitatis, Iustitia et Aequalitas i valori ideologici prioritari della Repubblica senese, ovviamente riferibili anche agli altri Comuni. Ci vorranno altri 5 o 600 anni prima che Oltralpe risuoni il grido “liberté, fraternité, egalité”.
 
    E’ il momento in cui si mette in moto il circolo virtuoso, che allora si capiva assai più di quanto si capisca oggi: libertà (ossia indipendenza, autonomia, autogoverno, partecipazione, uguaglianza politica ecc.) > ricchezza > cultura > arte. Non c’ è produzione di ricchezza senza libertà, né produzione di cultura senza ricchezza, né  produzione d’ arte senza cultura (16,17).
 
16 - Non esistono popoli ricchi e popoli poveri; ma popoli liberi, per cui sono ricchi (in proporzione ai livelli di libertà conquistati), e popoli oppressi per cui sono poveri. La Svizzera è povera e montuosa come l’ Albania, anzi peggio perché priva del mare, ma vi abita il popolo più ricco e civile del mondo perché da sempre è il popolo più libero del mondo. Mentre in Albania...
 

 17 - Le ragioni dell’arretratezza economica, culturale e artistica, di una società organizzata verticalmente, ossia non libera (la società feudale non meno di quella mafiosa o di quella autocratica) sono facilmente intuibili: esse risiedono nel sistema premiante che è basato sul principio della fedeltà e non su quello del merito (o della giustizia) come invece avviene in una società orizzontale, proprio perché priva di una gerarchia dominante. Cosa succeda in un ospedale, un esercito, una banca, in un sistema economico o in un paese, se si premia il più fedele (come avviene in ‘Italia’, paese in pratica a struttura verticale) invece del più bravo, non ha bisogno di essere ulteriormente illustrato.
 
    Quel concetto di libertas non era legato solo all’ indipendenza dallo straniero o da un principe lontano, ma anche e soprattutto  dal dominio di uno o di pochi (una famiglia eminente, una fazione o partito) sul proprio Comune, che allora veniva inteso come comunità di uomini liberi, solo sottomessi alle leggi da loro stessi emanate.
    E per impedire che uno o pochi s’ impossessassero delle magistrature repubblicane per instaurare una signoria, con conseguente perdita della libertà e immediata interruzione del circolo virtuoso libertà > ricchezza, il potere veniva frazionato in un’ infinità di magistrature, con incarichi affidati non solo con le elezioni, ma anche - sempre al fine di mortificare gli appetiti delle fazioni (partiti) e dei cittadini più ambiziosi che le capeggiavano - per sorteggio e per durate brevissime (anche due mesi) senza rinnovo alla scadenza se non dopo lunghi periodi. Spesso, quando si assegnavano gli incarichi più importanti, come quello del Doge a Venezia, si privavano di ogni altro incarico pubblico i familiari del designato (20, 21).
 
20 - Una legge a Venezia faceva decadere dalla candidatura chiunque fosse scoperto a farsi propaganda politica personale. Vogliamo qui ricordare il complicato sistema seguito per la nomina del Doge, per stroncare o rendere inutile la formazione dei partiti, sempre e giustamente sentiti come una minaccia per la Repubblica: il Gran Consiglio (da 1000 a 2000 capifamiglia) eleggeva 30 nominativi, ridotti poi per sorteggio a 9; i 9 ne eleggevano 40, ridotti per sorteggio a 12; i 12 ne eleggevano 25, ridotti per sorteggio a 9; i nove ne eleggevano 45, ridotti per sorteggio a 11; gli 11 ne eleggevano 41 che poi eleggevano il Doge. Ma non era finita, perché questi infine doveva sottoporsi all’approvazione dell’ Assemblea Generale del popolo riunita in Piazza San Marco.
 

21 - Deve anche essere considerato che esisteva un altro incarico pubblico che tutti i cittadini maschi sin dall’ adolescenza (più o meno dai 15 fino ai 70 anni) indistintamente ricoprivano: quello di componente di una delle compagnie militari territoriali (come ancora oggi nella Confederazione Elvetica).  [Oggi in “Italia” si è organizzato un esercito mercenario. Un bel progresso, non c’ è che dire! - ndr]
 
• Dello stesso Autore: IL PALIO (o della libertà), Il Torchio, Monteriggioni (SI) 2006.

lunedì 13 maggio 2013

LA FINE DELLA TOSCANA

...li principi governano gli uomini a uso di bestie onde poi appunto,
come si fa delle bestie, fra essi li cambiano e li permutano...
P.M.Doria, Il commercio mercantile, 1742

Premessa

E come si fa a uso di bestie, i Toscani sono stati trattati per ben tre volte. La prima volta dai Medici che non badarono a reinfeudare la Toscana nel Sacro Romano Impero per aver l’aiuto di Carlo V a distruggere la Repubblica di Siena. La seconda volta per un turpe scambio Lorena-Toscana tra Luigi XV di Francia e l’Imperatore d’Austria. La terza volta dai Savoia grazie al tradimento di alcuni toscani e all’arroganza di un secondo Napoleone.

LA FINE DELLA TOSCANA - Anonimo Fiorentino

I motivi per cui venne operata la scelta di istituire lo Stati italiano nella forma che tutti sanno, sono molteplici:
     1 - motivi dinastici di Casa Savoia di affermarsi su tutte le altre dinastie regnanti italiane, tutte, per inciso, più italiane dei Savoia;
    2 - necessità di un controllo da parte del potere centrale delle opposizioni di destra (Legittimisti) e di sinistra (Mazziniani, Radicali, ecc.) ;
     3 - Pressioni internazionali, particolarmente da parte di Francia ed Inghilterra, che favorino una unificazione centralista per meglio influenzare e controllare la politica di una nazione la cui nascita fu fomentata e promossa, addirittura con un intervento militare, per creare uno Stato vassallo a sud dell' Austria.
    Tutte e tre queste motivazioni trovavano il massimo consenso da parte della Massoneria, che quindi appoggiò con ogni mezzo l' affermarsi dell' idea unitaria centralista.
    Il popolo, secondo una definizione di Gramsci, fu "il grande assente del Risorgimento", perché i contadini e il popolo minuto, e quindi la stragrande maggioranza della popolazione, non ebbero mai modo di contare, di essere "opinione pubblica".
    La partecipazione alla guerra di Crimea e il corteggiamento dell' astro nascente nel panorama delle potenze europee, l' uomo nuovo, Napoleone III Imperatore dei Francesi, furono le prime mosse per portare il Piemonte alla ribalta. Massone e protettore del Papa, Repubblicano e Monarchico, rivoluzionario e uomo d' ordine, Napoleone III fu un personaggio estremamente contraddittorio, ma senza dubbio a lui spetta il merito (o il demerito) di aver attuato l' unificazione italiana.
    Comunque, in quegli anni, tutti erano concordi sul fatto che l' Italia dovesse essere, prima o poi, unificata in una Confederazione. Perfino da parte austriaca vennero avanzati dei progetti in tal senso, e precisamente da parte dell' Arciduca Massimiliano, Viceré del Lombardo-Veneto e fratello dell' Imperatore Francesco Giuseppe.
    Questi ricordi di gioventù condussero Napoleone III, nel luglio del 1858, ad incontrare a Plombières il Conte di Cavour per mettere a punto un piano di guerra contro l' Austria. Tali macchinazioni, che vanno sotto il nome di "accordi di Plombières", e vennero ovviamente tenute segrete, prevedevano una sistemazione della Padania e della penisola italica in tre regni, il contratrio di uno Stato unitario.
    Sulla base di questi accordi, che in quanto a democrazia e rispetto per i diritti dei popoli non avevano niente da invidiare al patto Ribbentrop-Molotov del 1939, era evidente l' importanza assunta dalla Toscana nel decidere il futuro destino dell' Italia: una Toscana annessa al Nord, cioé al Regno di Sardegna, avrebbe compromesso qualsiasi progetto di Federazione o confederazione italiana.
    All' inizio del 1859 Vittorio Emanuele annunciò al suo Parlamento di non poter più rimanere insensibile al grido di dolore che da tante parti d' Italia si levava verso di lui.
    Quali siano state queste tante parti non è dato di sapere. Forse dal Piemonte, ove si viveva sotto il feudalesimo dei Savoia... Dalla Toscana no di certo, se è vero, come è vero, che la Toscana all’ epoca era lo Stato più felicemente amministrato; un relativo benessere era diffuso presso tutti i ceti della popolazione, il bilancio statale era in attivo, le tasse poco gravose, gli amministratori pubblici onesti; il Granduca regnante, l' ormai anziano Leopoldo II, era una degnissima persona che, invece di occuparsi di congiure contro la pace, si preoccupava di costruire strade, ponti (anche il ponte di Caprona) e ferrovie (Empoli-Siena), di lavori idraulici (il Fosso della Botte) e bonifiche di zone paludose.
    La politica di mitezza e tolleranza della Toscana permise a Cavour di inviare a Firenze come Ministro Plenipotenziario, il Conte Carlo Boncompagni, col mandato di trascinare con ogni mezzo la Toscana in guerra contro l' Austria; permise lo scatenarsi di una massiccia campagna di stampa favorevole alla guerra, e la partenza di volontari toscani per arruolarsi nell' esercito piemontese; permise inoltre che uno sparuto gruppo di aristocratici e borghesi fiorentini, capeggiato dal Barone Bettino Ricasoli e dal Marchese Ferdinando Bartolommei, organizzasse, in accordo con gli emissari di Vittorio Emanuele, una specie di "comitato rivoluzionario" che caldeggiava la guerra solo come pretesto per deporre la dinastia regnante e portare la Toscana all' annessione con il Regno Piemontese; permise infi- ne un completo disorientamento dell' opinione pubblica toscana che, ingannata dall' inerzia del Governo toscano di fronte a questi fatti gravissimi, pensò che lo stesso Granduca fosse disposto a dichiarare guerra all' Austria come nel 1848.
    Leopoldo II era deciso a mantenere la neutralità della Toscana; agli inviati austriaci, come al Boncompagni per una alleanza con il Piemonte, oppose un netto rifiuto.
    Allo scoppio della guerra, di fronte a una dimostrazione di sciagurati interventisti che si tenne a Firenze nei giorni 26 e 27 aprile, il Granduca, decise di partire con tutta la famiglia. Un "governo provvisorio" raffazzonato la sera stessa del 27 aprile dal Consiglio Comunale di Firenze, si trovò in pratica già superato dal tempismo dell' iniziativa personale di Bettino Ricasoli, il traditore, il quale, senza che nessuno lo avesse incaricato, il 27 aprile era già a Torino a trattare con il Conte di Cavour. Risultato di tali trattative fu, praticamente, la consegna della Toscana al Piemonte: giuramento delle truppe toscane a Vittorio Emanuele, invio in Toscana di ufficiali piemontesi, forniture militari all' esercito piemontese, divieto di costituzione di una Guardia Nazionale toscana, nomina di un governatore civile e militare da parte del Re di Sardegna. Una vergogna..!
    Nel giugno, finalmente, le sorti della guerra vennero decise dalla battaglia di Solferino, vinta dai franco-piemontesi sugli austro-veneti (dopo un orribile macello durato due giorni!); l' Armistizio di Villafranca, firmato da Francesco Giuseppe e Napoleone, e sottoscritto anche da Vittorio Emanuele, prevedeva esplicitamente la restaurazione del Granduca in Toscana. Prevedeva, inoltre, la formazione di una Confederazione Italiana, a cui avrebbe partecipato anche il Veneto, pur restando austriaco, mentre la Lombardia sarebbe stata ceduta alla Francia, che a sua volta l' avrebbe ceduta al Piemonte.
    In seguito a tale accordo, passato nei libri di storia italiani come un tradimento di Napoleone III nei confronti dell' Italia, i governanti provvisori della Toscana si accorsero, dopo ben quattro mesi di governo, di non rappresentare l' espressione della volontà popolare, e quindi indissero delle elezioni, a suffragio estremamente limitato in base al censo, a cui partecipò circa il 2% della popolazione. L' Assemblea risultò composta da 172 Deputati, fra i quali si contavano: 2 principi, 1 barone, 29 fra marchesi e conti, 31 avvocati e 45 medici. Tale Assemblea (non molto rappresentativa di un paese in cui almeno il 75% della popolazione era occupato nel settore agricolo) votò a grande maggioranza tra il 16 e 20 agosto del 1859 due decreti a favore della deposizione dei Lorena e dell' annessione della Toscana al Piemonte. Con ciò, il Commissario Regio Boncompagni terminò il suo manda- to in Toscana; a Torino si considerò abbastanza "Commissario Regio" un tipo come Bettino Ricasoli, che, non si sa bene se per interesse personale o per utopie maldigerite che gli ottenebravano il cervello, era stato capace di compiere un tale tradimento nei confronti del suo Paese, del suo Popolo, del suo Sovrano.
    Bettino Ricasoli, ormai servo sciocco, si guadagnò proprio in quel periodo il soprannome di "Barone di Ferro", per suoi i metodi non proprio democratici impiegati per raggiungere i suoi obbiettivi. La mitezza e la tolleranza del Granduca ebbero modo di essere rimpiante dai toscani, perché il Ricasoli introdusse nel dibattito politico l' uso del manganello, riuscendo a soffocare qualsiasi opposizione, ottenendo fra gli intellettuali toscani numerose conversioni alla monarchia sabauda. Furono, questi, i tempi del Barone di Ferro, in cui chi non si convertiva era additato al pubblico ludibrio come i federalisti toscani Eugenio Albèri e Giuseppe Montanelli.
    I mesi seguenti furono dedicati a serrate trattative diplomatiche tra Vienna, Parigi e Torino, poiché le clausole stabilite a Villafranca non erano state rispettate dai Piemontesi. Basti comunque accennare al fatto che da parte piemontese si preferì rinunciare al Veneto in una Confederazione pur di non fare la Confederazione.
    Alla fine però, l' unica via d' uscita per risolvere la spinosa questione della Toscana e della Romagna apparve quella del plebiscito, che ebbe luogo il 1° marzo del 1860.
    Stavolta la votazione ebbe luogo con il suffragio universale maschile, con certi limiti di censo e di istruzione, per cui solo il 22% circa della popolazione toscana fu ammessa al voto, e l' annessione al Piemonte vinse a schiacciante maggioranza anche perché il voto, per giunta palese, si svolse in un tale clima di intimidazione che un risultato diverso sarebbe stato impossibile; il barone Ricasoli, tanto per non smentirsi, dette l' esempio agli altri proprietari terrieri toscani, obbligando i propri contadini ammessi al voto, ad andare a votare accompagnati dal fattore armato di fucile.
    Questa fu la fine della Toscana indipendente, libera, ricca e civile, così finì la bella Toscanina, rimpianta nel giro di pochi anni anche dagli stessi uomini del 27 aprile che avevano provocato il primo strappo, e che si trovarono ad assistere agli scandali e agli sperperi di Firenze capitale, con la città invasa da gente oltremontana che, nel migliore dei casi, proponeva di intonacare la facciata di Palazzo Vecchio e imbiancare i muri affrescati da Leonardo da Vinci e da Michelangelo del Salone dei 500!
    Ma le annessioni furono, soprattutto, il vizio di nascita dell' Italia, che nacque soffocando la libertà dei popoli. L' annessione della Toscana e della Romagna fu la chiave di volta del Risorgimento, perché creò l' Italia centralista, e aprì la strada, di lì a pochi mesi, a una delle pagine più vergognose della storia: l' aggressione armata al Regno delle Due Sicilie, in cui l' esercito regolare piemontese si dedicò a bruciare paesi e a massacrare la popolazione inerme. Il 4 agosto 1860, a Bronte, nacque la Questione meridionale.
    Oggi, dopo 140 anni di malgoverno centralista, riteniamo sia tempo di tornare a essere una nazione moderna e civile, rinnegando una scelta che già nel 1860 fu anacronistica e reazionaria. Del resto proprio in Toscana fu concepita e realizzata nell’ XI secolo, per la prima volta nel mondo, quella Società Comunale che sarà poi la culla della Civiltà Moderna, in contrapposizione a quella Società feudale che i Savoia ci hanno prepotentemente imposto...

    I problemi del mondo non possono essere risolti dai cinici e dagli scettici, i cui orizzonti sono chiusi dalle ovvie realtà. Noi abbiamo bisogno di uomini e di donne che sognino di cose apparentemente irrealizzabili e si chiedano, perché no?”   
                                                                                       George Bernard Shaw

LA PISTA CIFRATA

LA PISTA CIFRATA

C’è un gioco per i più piccoli sulle riviste di enigmistica che si chiama “La Pista cifrata”. Le regole son semplicissime. Su un riquadro bianco vien proposta una serie di punti numerati da uno a n, da congiungere con segmenti rettilinei seguendo la numerazione da uno a n. Ne vien fuori un disegno di senso compiuto.
    Anche il disegno storico che ci hanno insegnato a scuola da almeno 150 anni a questa parte (ma anche da prima) è stato e vien compiuto congiungendo diversi e numerosissimi punti. Solo che...
    Se andate a cercare per conto vostro, fuori delle veline ministeriali, come sono stati posizionati i punti e quanti di essi sono veri, falsi, semi-veri e semi-falsi, trovate che ci hanno propinato un disegno storico non solo discutibile, ma addirittura falso. No! Non c’è corrispondenza tra il disegno e la posizione dei punti veri...
    Com’è possibile, vi chiederete? Ma è semplice. Chi decide quali punti considerare e quali da scartare? Chi ha il potere di aggiungere punti dove gli fa comodo o togliere quelli scomodi? Insomma, chi scrive la Storia?
IL PADRONE! che può essere un tiranno, un dittatore, un monarca assoluto, un monarca costituzionale, una repubblica presidenziale, una repubblica rappresentativa (vedi le mestruazioni cerebrali di certi intellettuali sulle teorie elitarie); in breve chi fa le leggi e si appella a ogni pié sospinto alla legalità?
    Pensate a quante volte vi han chiuso la bocca col dire che “ è la legge”. Vi spennano con tasse, soprattasse, imposte, accise, addizionali, bolli, e a ogni conato di rivolta, vi tappan la bocca con “la legge lo prescrive”. 
    Vi dicono che la legge è necessaria per una convivenza civile. E’ vero. Ma non vi dicono che la legge, per essere valida per tutti con sane basi contrattuali e democratiche, deve essere condivisa. Quante volte vi han chiamato a condividere uno statuto o una costituzione? MAI! MAI! Vi hanno imposto centinaia di migliaia di leggi e leggine senza mai chiedervi una volta, una sola volta, se vi stavan bene o no.
    Per la verità, una volta il cosiddetto popolo italiano è stato chiamato a un referendum: nel 1946, per scegliere repubblica o monarchia. Ma era un referendum perfettamente inutile, ove si pensi che la monarchia stessa era stata imposta con la prepotenza e si era comportata così ignobilmente da essere rigettata senza discussione alcuna e senza bisogno di un referendum... E’ stato un colpo di coda degli amici del PADRONE.

In conseguenza di queste considerazioni credo sia il caso di iniziare una rilettura di vicende storiche in modo da correggere la qualità e la posizione di tanti puntini. Quanti? Non lo so, so che son tanti, troppi, che non è fatica da affrontare al singolare, ma, al contrario, necessita della più vasta collaborazione da parte di tante altre persone di buona volontà, disposte a reperire, correggere, aggiustare, spolverare, lucidare, riposizionare, il maggior numero possibile di punti in modo da correggere il disegno e renderlo ragionevolmente credibile.

Diamo dunque inizio a una serie (ad libitum) di RILETTURE STORICHE
Cominciando dalla Toscana è ora di rileggersi un pò di Storia lontano da cattedre e da saccenterie abusate e stantie. In questo spirito propongo “La fine della Toscana” di Anonimo, fiorentino credo.