Stephen Hawckins

Noi esseri umani siamo dei tipi curiosi. Siamo sempre a caccia di risposte. Le inseguiamo sui terreni più ardui, chiedendoci se la vita ha un significato. Penserete che si tratti di una questione filosofica, ma, secondo me, la Filosofia è morta. La risposta è nella Scienza. Stephen Hawckins, Disegno dell’Universo, parte II.


... e miglior ventura per noi sarebbe se i problemi di Firenze e della Toscana fossero visti e risolti con l’ occhio e le decisioni dei Fiorentini e dei Toscani”. Anonimo toscano

Chi nella vita crede di procedere senza le sacre leggi della logica e della matematica, si pasce di confusione. Leonardo da Vinci

lunedì 13 maggio 2013

LA FINE DELLA TOSCANA

...li principi governano gli uomini a uso di bestie onde poi appunto,
come si fa delle bestie, fra essi li cambiano e li permutano...
P.M.Doria, Il commercio mercantile, 1742

Premessa

E come si fa a uso di bestie, i Toscani sono stati trattati per ben tre volte. La prima volta dai Medici che non badarono a reinfeudare la Toscana nel Sacro Romano Impero per aver l’aiuto di Carlo V a distruggere la Repubblica di Siena. La seconda volta per un turpe scambio Lorena-Toscana tra Luigi XV di Francia e l’Imperatore d’Austria. La terza volta dai Savoia grazie al tradimento di alcuni toscani e all’arroganza di un secondo Napoleone.

LA FINE DELLA TOSCANA - Anonimo Fiorentino

I motivi per cui venne operata la scelta di istituire lo Stati italiano nella forma che tutti sanno, sono molteplici:
     1 - motivi dinastici di Casa Savoia di affermarsi su tutte le altre dinastie regnanti italiane, tutte, per inciso, più italiane dei Savoia;
    2 - necessità di un controllo da parte del potere centrale delle opposizioni di destra (Legittimisti) e di sinistra (Mazziniani, Radicali, ecc.) ;
     3 - Pressioni internazionali, particolarmente da parte di Francia ed Inghilterra, che favorino una unificazione centralista per meglio influenzare e controllare la politica di una nazione la cui nascita fu fomentata e promossa, addirittura con un intervento militare, per creare uno Stato vassallo a sud dell' Austria.
    Tutte e tre queste motivazioni trovavano il massimo consenso da parte della Massoneria, che quindi appoggiò con ogni mezzo l' affermarsi dell' idea unitaria centralista.
    Il popolo, secondo una definizione di Gramsci, fu "il grande assente del Risorgimento", perché i contadini e il popolo minuto, e quindi la stragrande maggioranza della popolazione, non ebbero mai modo di contare, di essere "opinione pubblica".
    La partecipazione alla guerra di Crimea e il corteggiamento dell' astro nascente nel panorama delle potenze europee, l' uomo nuovo, Napoleone III Imperatore dei Francesi, furono le prime mosse per portare il Piemonte alla ribalta. Massone e protettore del Papa, Repubblicano e Monarchico, rivoluzionario e uomo d' ordine, Napoleone III fu un personaggio estremamente contraddittorio, ma senza dubbio a lui spetta il merito (o il demerito) di aver attuato l' unificazione italiana.
    Comunque, in quegli anni, tutti erano concordi sul fatto che l' Italia dovesse essere, prima o poi, unificata in una Confederazione. Perfino da parte austriaca vennero avanzati dei progetti in tal senso, e precisamente da parte dell' Arciduca Massimiliano, Viceré del Lombardo-Veneto e fratello dell' Imperatore Francesco Giuseppe.
    Questi ricordi di gioventù condussero Napoleone III, nel luglio del 1858, ad incontrare a Plombières il Conte di Cavour per mettere a punto un piano di guerra contro l' Austria. Tali macchinazioni, che vanno sotto il nome di "accordi di Plombières", e vennero ovviamente tenute segrete, prevedevano una sistemazione della Padania e della penisola italica in tre regni, il contratrio di uno Stato unitario.
    Sulla base di questi accordi, che in quanto a democrazia e rispetto per i diritti dei popoli non avevano niente da invidiare al patto Ribbentrop-Molotov del 1939, era evidente l' importanza assunta dalla Toscana nel decidere il futuro destino dell' Italia: una Toscana annessa al Nord, cioé al Regno di Sardegna, avrebbe compromesso qualsiasi progetto di Federazione o confederazione italiana.
    All' inizio del 1859 Vittorio Emanuele annunciò al suo Parlamento di non poter più rimanere insensibile al grido di dolore che da tante parti d' Italia si levava verso di lui.
    Quali siano state queste tante parti non è dato di sapere. Forse dal Piemonte, ove si viveva sotto il feudalesimo dei Savoia... Dalla Toscana no di certo, se è vero, come è vero, che la Toscana all’ epoca era lo Stato più felicemente amministrato; un relativo benessere era diffuso presso tutti i ceti della popolazione, il bilancio statale era in attivo, le tasse poco gravose, gli amministratori pubblici onesti; il Granduca regnante, l' ormai anziano Leopoldo II, era una degnissima persona che, invece di occuparsi di congiure contro la pace, si preoccupava di costruire strade, ponti (anche il ponte di Caprona) e ferrovie (Empoli-Siena), di lavori idraulici (il Fosso della Botte) e bonifiche di zone paludose.
    La politica di mitezza e tolleranza della Toscana permise a Cavour di inviare a Firenze come Ministro Plenipotenziario, il Conte Carlo Boncompagni, col mandato di trascinare con ogni mezzo la Toscana in guerra contro l' Austria; permise lo scatenarsi di una massiccia campagna di stampa favorevole alla guerra, e la partenza di volontari toscani per arruolarsi nell' esercito piemontese; permise inoltre che uno sparuto gruppo di aristocratici e borghesi fiorentini, capeggiato dal Barone Bettino Ricasoli e dal Marchese Ferdinando Bartolommei, organizzasse, in accordo con gli emissari di Vittorio Emanuele, una specie di "comitato rivoluzionario" che caldeggiava la guerra solo come pretesto per deporre la dinastia regnante e portare la Toscana all' annessione con il Regno Piemontese; permise infi- ne un completo disorientamento dell' opinione pubblica toscana che, ingannata dall' inerzia del Governo toscano di fronte a questi fatti gravissimi, pensò che lo stesso Granduca fosse disposto a dichiarare guerra all' Austria come nel 1848.
    Leopoldo II era deciso a mantenere la neutralità della Toscana; agli inviati austriaci, come al Boncompagni per una alleanza con il Piemonte, oppose un netto rifiuto.
    Allo scoppio della guerra, di fronte a una dimostrazione di sciagurati interventisti che si tenne a Firenze nei giorni 26 e 27 aprile, il Granduca, decise di partire con tutta la famiglia. Un "governo provvisorio" raffazzonato la sera stessa del 27 aprile dal Consiglio Comunale di Firenze, si trovò in pratica già superato dal tempismo dell' iniziativa personale di Bettino Ricasoli, il traditore, il quale, senza che nessuno lo avesse incaricato, il 27 aprile era già a Torino a trattare con il Conte di Cavour. Risultato di tali trattative fu, praticamente, la consegna della Toscana al Piemonte: giuramento delle truppe toscane a Vittorio Emanuele, invio in Toscana di ufficiali piemontesi, forniture militari all' esercito piemontese, divieto di costituzione di una Guardia Nazionale toscana, nomina di un governatore civile e militare da parte del Re di Sardegna. Una vergogna..!
    Nel giugno, finalmente, le sorti della guerra vennero decise dalla battaglia di Solferino, vinta dai franco-piemontesi sugli austro-veneti (dopo un orribile macello durato due giorni!); l' Armistizio di Villafranca, firmato da Francesco Giuseppe e Napoleone, e sottoscritto anche da Vittorio Emanuele, prevedeva esplicitamente la restaurazione del Granduca in Toscana. Prevedeva, inoltre, la formazione di una Confederazione Italiana, a cui avrebbe partecipato anche il Veneto, pur restando austriaco, mentre la Lombardia sarebbe stata ceduta alla Francia, che a sua volta l' avrebbe ceduta al Piemonte.
    In seguito a tale accordo, passato nei libri di storia italiani come un tradimento di Napoleone III nei confronti dell' Italia, i governanti provvisori della Toscana si accorsero, dopo ben quattro mesi di governo, di non rappresentare l' espressione della volontà popolare, e quindi indissero delle elezioni, a suffragio estremamente limitato in base al censo, a cui partecipò circa il 2% della popolazione. L' Assemblea risultò composta da 172 Deputati, fra i quali si contavano: 2 principi, 1 barone, 29 fra marchesi e conti, 31 avvocati e 45 medici. Tale Assemblea (non molto rappresentativa di un paese in cui almeno il 75% della popolazione era occupato nel settore agricolo) votò a grande maggioranza tra il 16 e 20 agosto del 1859 due decreti a favore della deposizione dei Lorena e dell' annessione della Toscana al Piemonte. Con ciò, il Commissario Regio Boncompagni terminò il suo manda- to in Toscana; a Torino si considerò abbastanza "Commissario Regio" un tipo come Bettino Ricasoli, che, non si sa bene se per interesse personale o per utopie maldigerite che gli ottenebravano il cervello, era stato capace di compiere un tale tradimento nei confronti del suo Paese, del suo Popolo, del suo Sovrano.
    Bettino Ricasoli, ormai servo sciocco, si guadagnò proprio in quel periodo il soprannome di "Barone di Ferro", per suoi i metodi non proprio democratici impiegati per raggiungere i suoi obbiettivi. La mitezza e la tolleranza del Granduca ebbero modo di essere rimpiante dai toscani, perché il Ricasoli introdusse nel dibattito politico l' uso del manganello, riuscendo a soffocare qualsiasi opposizione, ottenendo fra gli intellettuali toscani numerose conversioni alla monarchia sabauda. Furono, questi, i tempi del Barone di Ferro, in cui chi non si convertiva era additato al pubblico ludibrio come i federalisti toscani Eugenio Albèri e Giuseppe Montanelli.
    I mesi seguenti furono dedicati a serrate trattative diplomatiche tra Vienna, Parigi e Torino, poiché le clausole stabilite a Villafranca non erano state rispettate dai Piemontesi. Basti comunque accennare al fatto che da parte piemontese si preferì rinunciare al Veneto in una Confederazione pur di non fare la Confederazione.
    Alla fine però, l' unica via d' uscita per risolvere la spinosa questione della Toscana e della Romagna apparve quella del plebiscito, che ebbe luogo il 1° marzo del 1860.
    Stavolta la votazione ebbe luogo con il suffragio universale maschile, con certi limiti di censo e di istruzione, per cui solo il 22% circa della popolazione toscana fu ammessa al voto, e l' annessione al Piemonte vinse a schiacciante maggioranza anche perché il voto, per giunta palese, si svolse in un tale clima di intimidazione che un risultato diverso sarebbe stato impossibile; il barone Ricasoli, tanto per non smentirsi, dette l' esempio agli altri proprietari terrieri toscani, obbligando i propri contadini ammessi al voto, ad andare a votare accompagnati dal fattore armato di fucile.
    Questa fu la fine della Toscana indipendente, libera, ricca e civile, così finì la bella Toscanina, rimpianta nel giro di pochi anni anche dagli stessi uomini del 27 aprile che avevano provocato il primo strappo, e che si trovarono ad assistere agli scandali e agli sperperi di Firenze capitale, con la città invasa da gente oltremontana che, nel migliore dei casi, proponeva di intonacare la facciata di Palazzo Vecchio e imbiancare i muri affrescati da Leonardo da Vinci e da Michelangelo del Salone dei 500!
    Ma le annessioni furono, soprattutto, il vizio di nascita dell' Italia, che nacque soffocando la libertà dei popoli. L' annessione della Toscana e della Romagna fu la chiave di volta del Risorgimento, perché creò l' Italia centralista, e aprì la strada, di lì a pochi mesi, a una delle pagine più vergognose della storia: l' aggressione armata al Regno delle Due Sicilie, in cui l' esercito regolare piemontese si dedicò a bruciare paesi e a massacrare la popolazione inerme. Il 4 agosto 1860, a Bronte, nacque la Questione meridionale.
    Oggi, dopo 140 anni di malgoverno centralista, riteniamo sia tempo di tornare a essere una nazione moderna e civile, rinnegando una scelta che già nel 1860 fu anacronistica e reazionaria. Del resto proprio in Toscana fu concepita e realizzata nell’ XI secolo, per la prima volta nel mondo, quella Società Comunale che sarà poi la culla della Civiltà Moderna, in contrapposizione a quella Società feudale che i Savoia ci hanno prepotentemente imposto...

    I problemi del mondo non possono essere risolti dai cinici e dagli scettici, i cui orizzonti sono chiusi dalle ovvie realtà. Noi abbiamo bisogno di uomini e di donne che sognino di cose apparentemente irrealizzabili e si chiedano, perché no?”   
                                                                                       George Bernard Shaw

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