Stephen Hawckins

Noi esseri umani siamo dei tipi curiosi. Siamo sempre a caccia di risposte. Le inseguiamo sui terreni più ardui, chiedendoci se la vita ha un significato. Penserete che si tratti di una questione filosofica, ma, secondo me, la Filosofia è morta. La risposta è nella Scienza. Stephen Hawckins, Disegno dell’Universo, parte II.


... e miglior ventura per noi sarebbe se i problemi di Firenze e della Toscana fossero visti e risolti con l’ occhio e le decisioni dei Fiorentini e dei Toscani”. Anonimo toscano

Chi nella vita crede di procedere senza le sacre leggi della logica e della matematica, si pasce di confusione. Leonardo da Vinci

martedì 28 maggio 2013

FRANCESCO BURLAMACCHI

FRANCESCO BURLAMACCHI

Un martire lucchese

Il primo a proporre uno Stato di Comuni confederati per sottrarre la Toscana al dominio mediceo e in prospettiva per gettare le basi di una confederazione toscana di tipo elvetico.

Il primo, unico e ultimo tentativo, a sud delle Alpi, di realizzare un modello federale di Stato, lo si deve a un lucchese: Francesco Burlamacchi. Egli si proponeva di contrapporre una confederazione di libere città (Lucca, Pisa, Siena e Firenze) alle mire egemoniche dei Medici, elevati al rango di duchi grazie alla connivenza d’ un parente papa, e che aspiravano al ruolo di tiranni toscani.
    Non ci riuscì il Burlamacchi, e per questo perse letteralmente la testa; ma ciò non toglie che la sua figura grandeggi per come preparò il tentativo ma soprattutto per come affrontò il martirio, tanto da poterlo definire la figura più nobile della storia di Lucca, e della Toscana.
    Francesco Burlamacchi era nato a Lucca nel 1498 nella sua casa all’ angolo tra la via S. Paolino e l’ attuale via Burlamacchi, che allora si chiamava S. Romano. Suo precettore fu lo zio Filippo Burlamacchi, seguace di quel fra’ Savonarola messo a morte e abbruciato proprio nel 1498 a Firenze. Filippo, tornato a Lucca in quell’ anno, indossò l’ abito domenicano e fu ordinato sacerdote tre anni dopo col nome di fra’ Pacifico.
    Gli insegnamenti di fra’ Pacifico segnarono profondamente la coscienza politica e religiosa di Francesco. In quei tempi a Lucca si ammiccava con favore alla Riforma luterana, e i mercanti lucchesi non commerciavano solo sete e lane, ma anche libri. E la Serenissima fu molto tollerante nei confonti dell’eresia; infatti a Lucca non fu mai istituito il Tribunale dell’ Inquisizione sotto giurisdizione ecclesiastica né mai vi entrarono i Gesuiti.
    Anche i Burlamacchi ammiccavano, ma non si può affermare che avessero abbandonato la fede cattolica; anzi. Francesco semmai ebbe le stesse esigenze dei riformati che lo portavano a vivere più interiormente la propria religiosità, sfrondandola di inutili ammennicoli esteriori, e pensava che l’ unità religosa potesse essere mantenuta e consolidata se il Papato avesse rinunciato a ogni interesse temporale.
    Laico sul piano politico, credente convinto sul piano religioso. Geloso come era, e come lo era la Serenissima, della libertà non chiacchierata ma vissuta, non poteva che essere antipapale e anti-mediceo.
    Probabilmente concepì il progetto confederale verso il 1543, quando, eletto Commissario delle Milizie di Campagna, dedicò molto tempo al loro riordinamento e alla costituzione delle Ordinanze di Montagna.
    [Volutamente si usano termini come disegno o progetto federale o confederale, invece di quello riduttivo di congiura con cui si tenta di minimizzare l’ evento, per render giustizia a un piano di ampio respiro, lucido e generoso, ardito quanto si vuole, ma non astratto: un Gonfaloniere di Giustizia non poteva essere uno sprovveduto..!
Per contro, in una scritta sotto il monumento dedicatogli in piazza S. Michele, si enfatizza l’ opera sua stravolgendone però il significato nel goffo tentativo di piegarlo a mere esigenze politiche del momento (1859), che peraltro andavano in senso diametralmente opposto al disegno del Burlamacchi, verso cioé quel centralismo che troverà la sua piena realizzazione nel regno prima, nel fascismo poi e infine nella repubblica fondata su 7 colli fatali 7. NdR]
    Nel 1546 vari fattori quali: la dimestichezza con le Milizie lucchesi, la sua carica di Gonfaloniere, i confini della Repubblica minacciati dalle mire espansonistiche di Cosimo I, duca di fresca nomina papale, le continue irritanti provocazioni da parte degli armigeri ducali a Colle di Compito, Camaiore e Barga, la nomina del lucchese Vincenzo Di Poggio a Capitano delle guardie di Pisa (dal 1509 in mano al duca) che aderì al progetto, l’ insofferenza mai sopita dei Pisani verso la tirannia ducale, le gravi preoccupazioni di Siena che ormai si sentiva prossima vittima dell’appetito mediceo (cadrà infatti nel 1555 in un bagno di sangue), la notoria riottosità delle genti del Valdarno, della Val di Nievole e della montagna pistoiese, la disponibilità dei repubblicani fiorentini con in testa la famiglia degli Strozzi; fattori tutti favorevoli al disegno del Burlamacchi, fecero sì che questi si risolvesse di passare alla fase esecutiva nel mese di agosto.
    Ma dietro a molti martiri si staglia spesso la figura del traditore: fu un certo Andrea Pezzini a tradire una causa infinitamente più grande di lui, per meschina vendetta e vile ricompensa. Il traditore avvertì Cosimo di quanto si stava preparando e il duca papale, in quel tempo tirapiedi di Carlo V e in grado di chiedere l’ intervento dell’ imperatore a propria difesa, non perse tempo; fece di tutto per farsi consegnare il Burlamacchi e coinvolgere la Serenissima per creare un casus belli. Ma la Repubblica lucchese seppe disinnescare il casus grazie alla propria diplomazia, sempre di prim’ ordine, ma soprattutto grazie al sacrificio di Francesco, che affrontò per ben tre volte la tortura e poi la morte piuttosto che rivelare nomi di amici o coinvolgere la Repubblica stessa.
    Nel primo interrogatorio dopo l’arresto, rivolto agli Anziani, tra l’ altro affermò: “e inoltre lecto che la Toscana antichissimamente è stata in quella unione che io intendevo fare, fusse cosa avesse a tornare in gran benefizio della città delle Magnifiche Signorie Vostre, e conseguentemente della Toscana”. E’ questo, in estrema sintesi, il Suo testamento politico.
    Il resto fu un braccio di ferro fra Cosimo I e la Repubblica di Lucca: il primo nel pretendere la consegna di Francesco, la seconda nel voler lo stesso piuttosto morto che in mano al duca. Ferrante Gonzaga, altro tirapiedi dell’ Imperatore e che teneva prigioniero il Burlamacchi a Milano, ricordava a Carlo V che i Lucchesi avrebbero dato non solo la vita di un proprio cittadino, ma la loro stessa vita, prima di riconoscere al duca autorità di grazia o giustizia per fatti accaduti nella loro Repubblica.
    Infatti nel febbraio 1547 giunse a Milano l’ordine imperiale di condanna a morte dopo estenuanti interrogatori e strazianti torture.
    Dopo alcuni mesi di vani tentativi di sottrarlo al boia, visto che anche la grazia doveva passare per il tiranno fiorentino, anche la famiglia, dopo la Repubblica, si rassegnò alla morte di Francesco. Che avvenne per decapitazione il 14 febbraio 1548 nel Castello Sforzesco di Milano.

Epitaffio tombale alla Chiesa di San Romano in Lucca

      ANCHE DA QUESTA TOMBA
  DOVE LA MADRE SUA E UN FIGLIO RIPOSANO
CHIEDE INVANO DI RIPOSARE
SIA GLORIA A FRANCESCO BURLAMACCHI
LUCCHESE
CHE CONTRO OGNI TIRANNIDE
MEDITO’ E PREPARAVA LA LIBERTA’
DELLA FEDERAZIONE DELLE TOSCANE REPUBBLICHE
E PER QUEL SOGNO GENEROSO
PERI’ DECAPITATO IL 14 FEBBRAIO 1548
MENTRE VAGHEGGIAVA ROMA (1)
RESTITUITA ALLA CIVILTA’ DELL’ IMPERO

1 - Beh! nessuno è perfetto... Anche il Burlamacchi era rimasto irretito nei bettabelli delle fole latino-romanesche...

Nessun commento:

Posta un commento